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INTERVISTA

Ezio Glerean: "Il problema dei club? I mister hanno perso potere"

In Promozione Ezio Glerean è l’allenatore della Marosticense che guida la classifica con altre due squadre
In Promozione Ezio Glerean è l’allenatore della Marosticense che guida la classifica con altre due squadre
In Promozione Ezio Glerean è l’allenatore della Marosticense che guida la classifica con altre due squadre
In Promozione Ezio Glerean è l’allenatore della Marosticense che guida la classifica con altre due squadre

Dicono che il calco non sia una questione di numeri e moduli, in realtà spesso dietro a quegli schemi c’è una filosofia, un pensiero, un’idea di calcio che un allenatore come Ezio Glerean mette in campo da vent’anni, ben prima che il mondo del pallone parlasse di calcio propositivo. L’uomo dell’ultra offensività con il suo 3-3-4 è rimasto quello di un tempo, con gli stessi principi di gioco e di vita. In carriera ha alternato risultati eroici (Sandonà, Cittadella ma anche Bassano) ad altre esperienze meno fortunate. Ma questo è il destino degli allenatori e Glerean non si è mai nascosto nemmeno a Marostica dove allena la prima squadra, capolista in Promozione, e dove cura anche il settore giovanile. Mister come sta il calcio? È in un momento triste, le nuove regole hanno stravolto le società sportive che non possono più contare sulla proprietà dei giocatori e quindi non possono programmare. E se il prodotto-giocatore non c’è più, mancano anche le risorse con il risultato che le società dilettantistiche sono costrette all’elemosina di pochi sponsor. Ma una soluzione esiste? Bisogna tornare al passato, soprattutto per quello che riguarda i vivai. Una volta le squadre professionistiche venivano ad acquistare i giovani ma pagavano anche 50 milioni, ora subentrano quando i ragazzini hanno 13-14 anni, con premi di preparazione miseri, depauperando tesori della società. I presidenti oggi sono eroi che hanno il diritto di sognare ma hanno anche l’obbligo di collaborare con altre società, se vogliono ottimizzare le risorse. E nella Marosticense ci siete riusciti? Quando sono arrivato c’erano solo due giocatori di proprietà, mentre adesso tutti sono legati alla società. Quello che vedo in giro invece è un controsenso: i professionisti vengono a prendere i ragazzi, li tengono 4-5 anni per poi cederli alle società dilettanti ma poi ti accorgi che ci sono giocatori di 20-21 anni che giocano in Promozione o Eccellenza che meriterebbero il professionismo ma nessuno li vede. È un sistema distorto. Non ha mai mollato il suo 3-3-4, nemmeno adesso in Promozione È frutto di un percorso, di tre-quattro allenamenti a settimana e di un gruppo di giovani che mi segue con entusiasmo. Una volta i ragazzi giocavano ed imparavano all’oratorio per 5-6 ore al giorno, ed è chiaro che più tocchi palla più diventi bravo, la tecnica nasceva lì, Totti, Baggio o Del Piero hanno affinato la tecnica sulla strada. Fateci caso, da quando sono iniziate le scuole calcio non ci sono più campioni. Tutti ora parlano di calcio propositivo, ma lei è stato tra i primi a proporlo negli anni ’90 Bisogna sempre guardare quello che fanno gli altri, io ho studiato l’Ajax e dopo qualche mese ho adattato quattro, cinque giocatori a quel modo di giocare. Ho sempre pensato che per vincere bisogna essere il più possibile vicini alla porta avversaria, utilizzando due centrocampisti di rottura e un regista. L’abilità dei giocatori si vede quando riescono a difendersi in pochi, un giocatore deve sapersi divertire anche in fase difensiva, se invece riempi l’area di marcatori non hai più nessuno che attacca. Tante vittorie ma anche qualche contrasto con i presidenti In realtà l’unico vero dissidio ce l’ho avuto con Zamparini quando lasciò il Venezia per passare al Palermo, era una situazione ingestibile, un vero trauma. Oggi sono altri i problemi nelle società professionistiche E quali? Che gli allenatori non contano più niente, devono solo gestire il gruppo, mentre sono i direttori sportivi che fanno le squadre e scelgono gli allenatori, ma se poi i risultati non arrivano viene cacciato il tecnico. I direttori sportivi hanno troppo potere. Io penso invece che sia il presidente a dover scegliere l’allenatore e creare un gruppo di lavoro dove ognuno ha dei ruoli precisi sapendo però che l’intera società ruota attorno al mister a cui dare spazio e fiducia. Il calcio è fatto prima di tutto di coesione. A Cittadella riuscimmo a conquistare la serie B dalla C2 perchè c’erano idee ed entusiasmo, i soldi contavano fino ad un certo punto. Nel 2001 il presidente Gabrielli mi chiese di portarlo in serie A, aveva capito che le condizioni c’erano... il miracolo Cittadella è nato in quegli anni perchè tutti, dai magazzinieri al presidente lavoravano con gli stessi obiettivi. Tra i presidenti ha avuto anche Renzo Rosso quando era al Bassano Fu un periodo straordinario con dei ragazzi fantastici. Purtroppo non siamo stati capiti per il lavoro fatto, nonostante avessimo raggiunto due finali playoff, vinto una coppa Italia e una coppa disciplina. E del Vicenza di oggi che idea si è fatto? Non conosco bene la situazione dei biancorossi, il mio è un discorso che vale per tutte le squadre. Penso che in ogni società i ruoli debbano essere ben chiari, senza che nessuno scavalchi l’altro e poi ci sono i giocatori... che sono sempre meno legati alla maglia e sempre più ai procuratori. Gestire un gruppo è la cosa più complicata, Cruijff sosteneva che lo spogliatoio è molto più importante di un Consiglio d’amministrazione.•. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Eugenio Marzotto