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I 40 anni dal Mundial

Il ricordo di De Silvestri: «Il Sarrià sembrava il Menti»

Quarant'anni fa il trionfo del'Italia ai Mondiali in Spagna

La pioggia nella notte dell’11 luglio 1982 a bagnare un tripudio di bandiere, di migliaia di vicentini che conclusa la sfida si riversarono tutti per le vie del centro storico. È il racconto per immagini di Gennaro Borracino, storico fotoreporter de Il Giornale di Vicenza, che uscì in edicola l’indomani con una edizione speciale.

Ma quello fu il mondiale di Paolo Rossi che a Vicenza aveva lasciato il cuore e tanti gol e i vicentini lo adottarono anche in quelle notti d’estate come loro eroe. A tal punto che per le vie della città e della provincia in tanti a colpi di clacson uscirono con per le strade con l’auto su cui era affissa la sua immagine, una foto, un poster per dire: “Paolo è uno di noi”. Una festa di popolo e alla fine i bar offrirono gratis birra ai tifosi. Stavolta rigorosamente italiana. 

E poi c’era chi quelle notti le aveva vissute in prima persona. L’avvocato Tonino De Silvestri, allora giovane magistrato, ha seguito le imprese degli azzurri al Mundial spagnolo di quarant’anni fa. «Ho assistito alle sfide con Argentina e Brasile allo stadio Sarrià di Barcellona, poi sono dovuto rientrare in Italia. Con me c’erano mia moglie, il general manager del Vicenza, Gastone Rizzato e la consorte. Incrociammo anche Giussy Farina». 

Qual è il primo ricordo che le viene alla mente? 
«Ce ne sono tanti. Il Sarrià (demolito nel 1997, ndr) era simile al Flaminio di Roma e poco più grande del Menti, per cui sembrava quasi di assistere ad Italia-Brasile a Vicenza! Al termine della partita ho visto molti brasiliani che piangevano, mi sono avvicinato ad uno di loro e gli ho messo una mano sulla spalla per consolarlo…  

Ma facciamo un passo indietro. 
Noi avevamo preso coraggio grazie alla vittoria contro l’Argentina, con Gentile appiccicato a Maradona come un poliziotto marca un delinquente. Quindi abbiamo affrontato la sfida con il Brasile sapendo che loro erano favoriti ma che noi non saremmo stati battuti in partenza.  

A quel punto c’è stata la rinascita di Paolo Rossi… 
Al suo primo gol ho provato una gioia immensa, esultando con le braccia in aria, quasi per un riflesso pavloviano. Da lì in avanti è stato tutto un crescendo sino alla finale con la Germania.  

Ha avuto modo di parlare con Paolo Rossi in Spagna? 
Certo, ero accreditato per la Federcalcio e questo mi consentiva di accedere al ritiro degli azzurri. Lui era preoccupato e fiducioso al tempo stesso, molto responsabilizzato, aveva addosso la stampa romana, perché Bearzot lo aveva preferito a Pruzzo.  

Che rapporto aveva con lui? 
Premetto che uno dei motivi che mi portarono a scegliere Vicenza fu che i biancorossi erano in serie A. Nel 1971 avevo appena vinto il concorso per entrare in magistratura: visto che nelle grandi città i posti erano già stati tutti occupati, mi indirizzai su Verona ma ci andò un veneto, quindi optai per Vicenza. Ho vissuto appieno il periodo del Real Vicenza, avevo il posto in tribuna d’onore al Menti come presidente della commissione tesseramenti della Figc. Sono diventato amico di Paolo fin dai tempi in cui viveva all’hotel Michelangelo di Arcugnano, di proprietà di Marino Basso, con il quale giocavo a calcio. Scrivevo per una rivista della Figc e lui era in prima pagina con la maglia della Nazionale, nella quale aveva appena debuttato. Ci siamo ritrovati spesso a cena, assieme a Giancarlo Salvi, che lo chiamava bomber, Giorgio Carrera, Beppe Lelj e ad altri suoi ex compagni, che hanno giocato anche con noi nella rappresentativa degli avvocati.

Andrea Lazzari e Alessandro Lancellotti

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