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l'intervista

Gelindo Bordin, con le sue gambe ha girato quattro mondi: «Sognavo di volare. E ora un aereo porta il mio nome»

Il maratoneta e campione olimpico si racconta
A sinistra Gelindo Bordin oggi (è sport merchandising director di Diadora), a destra con l’allenatore Luciano Gigliotti (sopra) e in ginocchio a festeggiare l’oro olimpico conquistato a Seul’88
A sinistra Gelindo Bordin oggi (è sport merchandising director di Diadora), a destra con l’allenatore Luciano Gigliotti (sopra) e in ginocchio a festeggiare l’oro olimpico conquistato a Seul’88
A sinistra Gelindo Bordin oggi (è sport merchandising director di Diadora), a destra con l’allenatore Luciano Gigliotti (sopra) e in ginocchio a festeggiare l’oro olimpico conquistato a Seul’88
A sinistra Gelindo Bordin oggi (è sport merchandising director di Diadora), a destra con l’allenatore Luciano Gigliotti (sopra) e in ginocchio a festeggiare l’oro olimpico conquistato a Seul’88

Non ha mai corso da solo Gelindo Bordin. Ha iniziato per vocazione. Si è ritrovato a vincere per il popolo. L'uomo che ha girato quattro mondi sulle sue gambe (circa 160.000 chilometri in carriera regalati alla maratona) ha trasformato l’ordinario in straordinario, ascoltando le parole di mamma Elvira, ultracentenaria venuta a mancare in questi giorni, e scoprendo quanto sia unico l'uomo in tutte le sue splendide varianti.

Gelindo, 64 anni, ha trasformato rivali in amici, la fatica in oro, una passione in un viaggio che gli ha aperto porte su nuovi mondi. La sua vita, da quando è diventato sport merchandising director di Diadora, è diventata una sorta di “marchio di fabbrica“.

Essere l’esempio porta responsabilità. Come tanti supereroi senza maschera e mantello. Pure soddisfazioni particolari.

Bordin, la ITA Airways le ha intitolato un aeromobile. Non capita a tutti...

Lo considero un grande onore. Mi ricordano in vita per quello che ho fatto. Ho origini contadine e da sempre porto con me valori importanti. “Volare“ con gli italiani mi gratifica. In terra si fatica, in cielo si sogna. E i sogni sono il sale della vita. Sognavo di volare. Ma non ho mai smesso di restare con i piedi ben ancorati a terra.

Oro all’Olimpiade di Seul ’88, trionfo nella maratona di Boston. Le emozioni nel rivivere le sue imprese cambiano con il passare del tempo?

No, si riaccendono sempre quando rivivo gli ultimi metri. Seul era il sogno. Boston, invece, è stata una vittoria “programmata“. Ma quando vinci l’emozione prende sempre il sopravvento.

Da pochi giorni è venuta a mancare sua madre Elvira. Un’ultracentenaria al fianco del campione.

A volte gli allenatori migliori sono quelli con i quali ti siedi a tavola ogni giorno. Mia madre mi assomigliava molto. Portava allegria, teneva insieme tutti. Mi ha insegnato la cultura dell’accoglienza, il rispetto, la lotta al pregiudizio, il piacere dell’incontro con altre culture. Mi ha fatto capire che quelli che erano i miei rivali sulla strada potevano diventare amici. Ho lottato con campioni africani che sembravano essere imbattibili. Ma quel senso smisurato di uguaglianza che mia madre mi ha trasmesso mi ha fatto entrare in sintonia con i miei rivali. Ero come loro, uno di loro, uguali nelle fatiche, nella sofferenza e nei sogni. E ho vinto.

C’è una parola che ha dato senso alla sua vita?

Fatica, la parola che nobilita. Sono figlio di una generazione di faticatori. Alle spalle avevamo genitori che avevano preso parte alla ricostruzione dell’Italia. Ci hanno trasmesso valori importanti.

Questa trasmissione di valori e culturale, purtroppo, sembra essere venuta meno con le ultime generazioni. Cosa pensava Bordin quando si trovava a macinare chilometri lontano dal traguardo?

Mi sono allenato a non pensare e a far scorrere tutto. Un lavoro in profondità. La necessità di isolarmi ed ascoltare solo il mio corpo. Il silenzio ti parla. Ma devi ascoltare il silenzio. E trovare le risposte che cerchi.

Un campione è diverso?

Io ero pazzo. O, almeno: mi consideravano pazzo, fuori dagli schemi. La notte prima dell’oro conquistato a Seul sono andato a ballare. Non avvertivo ansie, mi sono ascoltato. E ho fatto la cosa giusta. Credo di avere vinto tanto grazie anche alla mia pazzia.

Sempre di corsa. Se sommiamo tutti i chilometri percorsi nella sua carriera è come se avesse girato il mondo per quattro volte. C’è un posto dove si sarebbe fermato?

La Nuova Zelanda. I campioni andavano lì a svernare. Per noi atleti era terra mitica. Purtroppo ho girato davvero il mondo senza mai riuscire ad andare là. Prima o poi, però, accadrà.

Il prossimo traguardo da tagliare?

Restituire qualcosa allo sport che tanto mi ha dato. Ho vinto, sono stato allenatore. Sento, però, che manca ancora un passo.

Anche la vita è fatta di podi da conquistare?

La vita non ha podi. La vita è un viaggio. L’importante sono le tappe. L’importante sono le esperienze. L’importante è essere felici e distribuire felicità. La cosa più bella e difficile è far ridere le persone. Un sorriso vale l’oro. Nella vita siamo tutti uguali. E l’importante è avere vissuto. Una vittoria condivisa vale molto di più di una vittoria per te stesso.

Dopo avere chiuso la sua vita da atleta è entrato a far parte della grande famiglia Diadora. Bordin è sempre quello che unisce fatica a valori?

Sì, dentro la frase che ci contraddistingue: “make it bright“ ci sta il senso di quello che siamo. E di quello che vogliamo essere. E cioè: rendere straordinario ciò che è ordinario. Non deve esistere routine ma dobbiamo muoverci sempre con la voglia di sorprendere e di essere sorpresi. La ricerca di nuovi traguardi rende tutto più appassionante.

Chi sono i veri maratoneti nella vita di tutti i giorni?

I nostri giovani ricercatori. Ragazzi che viaggiano sorretti da entusiasmo e passione. E che mettono a disposizione il loro tempo e il loro intelletto per migliorare il mondo. In una vita senza podio loro meritano sempre la ribalta.

Un atleta che ammira particolarmente?

Carlos Lopes (maratoneta e mezzofondista portoghese ndr). Capisci che qualcuno ti è entrato nell’anima quando realizzi che è diventato tua fonte di ispirazione. Lopes vinse la medaglia d’oro nella maratona a Los Angeles’ 84. Io ero alla ricerca di qualcosa di grande. Carlos divenne modello da seguire. Siamo diventati amici.

Il suo capolavoro?

Resta la medaglia d’oro vinta a Seul. Ho battuto i campionissimi africani dimostrando che non sono diversi da noi. Dimostrando che la forza, l’applicazione e il sogno ti permettono di superare ogni barriera mentale. Vincere è una fatica dolce. Anzi, dolcissima.

Simone Antolini

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