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L'intervista

Diego Dalla Palma: «Raccontare la vita è una terapia»

“Bellezza imperfetta” vedrà l’artista venerdì 19 al Millepini di Asiago. Ma esce anche un podcast in 5 puntate sulla sua storia umana
“Vivo.Confessioni nella tempesta”: il podcast di Dalla Palma
“Vivo.Confessioni nella tempesta”: il podcast di Dalla Palma
“Vivo.Confessioni nella tempesta”: il podcast di Dalla Palma
“Vivo.Confessioni nella tempesta”: il podcast di Dalla Palma

Diego Dalla Palma, esperto di trucco, moda e stile, a 73 anni i traguardi credeva di averli tagliati tutti. La joie de vivre che lo caratterizza è frutto di un lavoro interiore riversato in un libro, nei video social e a teatro. Gli mancava il podcast: “Vivo. Confessioni nella tempesta” è ora disponibile su tutte le piattaforme streaming. Un racconto senza filtri in 5 puntate da 30 minuti, prodotto da Show Reel Studios. L’artista nato a Enego rievoca tutto, l’infanzia in montagna, il collegio, i giorni sulla strada, fino al debutto in tv, alla creazione di un’azienda, alla vendita, ai nuovi interessi. Sono temi che tornano in “Bellezza imperfetta. Fra vacche e stelle”, opera teatrale che Dalla Palma ha scritto e che gira l’Italia, dopo la prima in ottobre all’Olimpico di Vicenza. Diego con l’attrice Vera Dragone e la partecipazione di Maria Grazia Mandruzzato, per la regia di Ferdinando Ceriani, porta lo spettacolo “a casa”: sarà al Millepini di Asiago venerdì 19 alle 21 (biglietti al botteghino o su www.myarteven).

Dalla Palma, il titolo “Vivo” a cosa si riferisce?
Recentemente mi hanno dato per morto, una certa informazione allo sbando, e ne risponderanno legalmente. Gli acciacchi li ho, ma sto bene e sarebbe un regalo per me se i podcast potessero aiutare qualcuno: ho avuto una vita tumultuosa, da qui l’aggiunta di “Confessioni nella tempesta”. Queste registrazioni sono il segno di un destino che non finisce, mi sono detto quando me le hanno proposte. Non amo la mia voce, ma dall’angolo semibuio dello studio ho parlato a cuore aperto. Ho avuto tutto, mi resta solo il desiderio di viaggiare e di trasmettere qualcosa ad una società che spesso evapora.

Il racconto

Quanto Veneto, quanto Vicentino c’è nel racconto?
Molto. Sono nato qui, i valori li ho appresi qui, anche se poi ho commesso e subìto malefatte di ogni genere. Non c’è nulla di cui mi devo vergognare, perché ho potuto trasformare una vicenda dolente in una esistenza luminosa. La vita è un viaggio difficile per una breve vacanza.

Chi, che cosa l’ha aiutata di più? 
L’arte mi ha salvato dalla banalità, dal suicidio. La musica: nella casa di Padova ho una stanza con 25 mila cd. Qualche volta i medici. Ma più spesso le donne: devo loro tutto, sono alleate naturali. A partire da mia madre Agnese, regista carismatica della sua e mia vita. 

Ricordi struggenti e pieni di poesia

E professionalmente?
Devo molto a Diana De Feo, a Edda Stagno, ma soprattutto a Maud Strudthoff, responsabile dei costumi in Rai a Milano che, dopo la terza volta in cui mi presentai a cercare lavoro, emaciato per la fame, mi richiamò e mi prese per “Un’ora per voi”, trasmissione per gli italiani in Svizzera. Da lì la crescita: da costumista a scenografo, anni galvanizzanti; l’unione meravigliosa col soprano Anna Del Bene, poi altre strade anche sessuali. Ho ricordi struggenti e pieni di poesia. 

Che non cancellano le ferite.
La povertà è stata la mia università, ho provato la derisione e il bullismo, gli abusi da un prete, sono stato in coma per la meningite lifocitaria fulminante, disegnavo dappertutto ed ero considerato strano... Ma al Lisser, dai pascoli di Lambara guardavo la pianura e fantasticavo. Tornare in Altopiano è una forte emozione, ma a Enego ho deciso di non tornare. 

Lo spettacolo

Sua madre cosa avrebbe detto dello spettacolo?
Credo di aver riscattato lei e mio padre Ottavio da tante umiliazioni. Nulla mi appaga di più. Lei sarebbe felice, parlerò del suo rossetto, di cosa mi ha insegnato. Spero ci siano alcuni cugini e gli eneghesi che mi vogliono bene, potrò usare il dialetto che in altre regioni, come in Abruzzo o in Lazio, ho dovuto sacrificare. 

Sei mesi dal debutto di “Bellezza imperfetta...
Ha viaggiato come non avrei immaginato. Ma ho capito che è adatto a teatri raccolti: non sono un attore, sono uno che narra se stesso e spera che il teatro sia un po’ terapeutico e mi avvicini al pubblico. 

Scommettiamo che non è ancora finita?
Eh, si sta prospettando l’ipotesi di un film su mia madre. Mi sembra una cosa indicibile.

Nicoletta Martelletto

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