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Il film sul crac delle Popolari

"Cento domeniche" a Vicenza. E Albanese si commuove: «Non deve succedere mai più»

di Gianmaria Pitton
Lungo applauso dei 400 spettatori al regista e attore dopo la proiezione del film al Patronato Leone XIII

Il confessionale, il salvadanaio, anzi, la musìna. La famiglia. Questo era la banca per i tantissimi che si fidarono e le affidarono i propri soldi, frutto di sacrifici, di rinunce. Per poi vederli sparire, e magari sentirsi accusare di essere stati avventati a investire tutto in azioni. Ma non erano persone che volevano rischiare - erano risparmiatori. Com’è un risparmiatore il personaggio di Antonio Riva, tratteggiato in modo magistrale da Antonio Albanese nel suo “Cento domeniche”, proiettato al Patronato Leone XIII grazie a un’inedita sinergia tra la Vision Distribution, la Diocesi, “Noi che credevamo Associazione medio-piccoli risparmiatori” e “Associazione nazionale Azionisti Banca Popolare di Vicenza”.

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La proiezione del Patronato Leone XIII era la prova del nove

Era la prova del nove, quella di ieri, sabato 25 novembre. Far vedere il film a quanti hanno provato sulla pelle viva il dramma del crac di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca. Esistenze stravolte, relazioni umane sgretolate, certezze crollate, come hanno testimoniato gli interventi dopo la proiezione. È stata tradita la fiducia: «Quando viene meno - dice il vescovo Giuliano Brugnotto - si interrompono i riferimenti fondamentali con le istituzioni, che servono alla società, non per se stesse. Come Chiesa dobbiamo stare vicini a quanti sono feriti. Anche in queste vicende ci sono persone lasciate ai margini: persone più povere e con meno strumenti culturali. Come può uno, che potrebbe essere mio padre agricoltore, andare in banca e capire cosa sta firmando?».

La fiducia che è stata tradita

Ci si fidava, appunto. E nel film si fidava anche Antonio Riva, uno a cui piace aggiustare le cose, ma che si trova davanti qualcosa che non si può aggiustare. La fittizia, riconoscibilissima banca in cui ha messo tutto, gli porta via tutto.
La prova è superata. Quando Albanese ai titoli di coda entra in sala, i 400 spettatori - tutti in piedi - gli tributano un applauso lungo e commosso. Gli dicono “sì, hai raccontato quello che ci è capitato, quello che è successo ai nostri parenti”.

La commozione di Albanese: «tradire la fiducia è un atto criminale»

Si commuove a sua volta Albanese: «Il vostro applauso è molto importante. Vi devo dire la verità, l’idea di questo film parte da lontano, mi sono molto immedesimato in questa storia, ne ho vissuto la vergogna, l’ingiustizia, l’enorme tradimento. Tradire la fiducia è un atto criminale. Ho cercato di avvicinarmi a questa vicenda il più possibile, mi sembrava impossibile che nessuno l’avesse raccontata». Lui l’ha fatto senza sconti, senza sfocature, perché così andava rappresentata. «Se fossimo stati in America - sorride amaro Albanese, sul palco in dialogo con il giornalista Gian Antonio Stella - i produttori avrebbero imposto l’happy end, con l’avvocato che trova i soldi per tutti». Invece continua la battaglia delle associazioni per gli indennizzi. «Una sera ho visto in tv uno dei risparmiatori truffati - ancora Albanese - mi sono detto: potrei essere io. E ho ambientato la storia nei miei luoghi. Questa vicenda non si deve più ripetere. Non accuso il sistema bancario, ma la responsabilità di alcuni». Stella fa il nome di Gianni Zonin. «È stato invitato - dice Luigi Ugone di “Noi che credevamo” - Non ha risposto». 

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