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Sconfitti e teneri Questi “Soliti ignoti” sono pura poesia

La maldestra banda di ladruncoli si prepara al colpo della vita. FOTOSERVIZIO CECCONApplausi anche per Salvatore Caruso nella parte di Capannelle
La maldestra banda di ladruncoli si prepara al colpo della vita. FOTOSERVIZIO CECCONApplausi anche per Salvatore Caruso nella parte di Capannelle
La maldestra banda di ladruncoli si prepara al colpo della vita. FOTOSERVIZIO CECCONApplausi anche per Salvatore Caruso nella parte di Capannelle
La maldestra banda di ladruncoli si prepara al colpo della vita. FOTOSERVIZIO CECCONApplausi anche per Salvatore Caruso nella parte di Capannelle

Lorenzo Parolin BASSANO Al Remondini di Bassano, è andato in scena il matrimonio tra cinema e teatro. Ed è un matrimonio che profuma di poesia perché di fronte alla versione scenica di “I soliti ignoti”, si ride, ci si commuove e si sogna ricordando tra gli applausi un’Italia che non c’è più. La storia si avvale della sceneggiatura di Age e Scarpelli, con Suso Cecchi D’Amico, vale a dire un pezzo importante di storia del cinema, ma proprio perché il confronto chiama un capolavoro, adattamento di Antonio Grosso e Pier Paolo Piciarelli, e regia di Vinicio Marchioni, si fanno apprezzare ancor di più. La trama, in sé, è semplice ed è stata il modello per più di mezzo secolo del genere “caper movie”: un gruppo di ladruncoli di borgata, imbranati e simpatici, progetta il colpo della vita. Il tutto si risolve in un furto di… pasta e ceci e in una bella mangiata tra amici. A ideare, il colpo, Peppe “Er Pantera”, pugile fallito riciclatosi malvivente; Tiberio, costretto ad accudire il suo neonato mentre la moglie è in carcere e Mario, giovane cresciuto in orfanotrofio. Con loro, Michele “Ferribbotte”, siciliano gelosissimo della sorella e Capannelle, ladruncolo spiantato tra gli spiantati. A istruire la sgangherata compagine, il ladro di lungo corso Dante, interpretato sullo schermo nientemeno che da Totò. Totò che, da solo, basterebbe a rendere improbo qualsiasi tentativo di emulazione. Accanto a lui, però, nel film c’era addirittura un cast stellare, con Vittorio Gassman a fare Er Pantera, Marcello Mastroianni il tenero Tiberio, Carlo Pisacane Capannelle e Tiberio Murgia, sardo, nella parte del sicilianissimo Ferribbotte. Il tutto, sotto lo sguardo di Mario Monicelli e con Claudia Cardinale, nel fiore della bellezza, a interpretare Carmelina, la sorella di Ferribbotte. Come dire? Auguri a chiunque si accinga a una prova così impegnativa. Oppure, come accaduto a Bassano, la prova non si corre neppure, ma con un colpo di genio (eh sì...) si trasformano trama, intreccio e allestimento in un triplo omaggio: al cinema, al teatro e alla sensibilità tutta italiana che ti fa prima ridere, poi piangere, o ridere e piangere insieme. Così, “Er Pantera” di Giuseppe Zeno, è proprio Gassman, anzi, i suoi Gassman sono due: Alessandro per fisico e movenze, Vittorio per presenza e voce. Oppure Vito Facciolla, Ferribbotte, è pari pari Tiberio Murgia. O, ancora, quando Ivano Schiavi (Dante) avverte che «Io il sistema “fu Cimin” lo escluderei al priore» si aguzza lo sguardo per controllare che dietro le quinte non ci sia il principe De Curtis, Totò in persona, a suggerire. E poi, come non ridere sul passaggio «fu Cimin, cioè il defunto Cimin, né cinese né ticinese ma di Venezia. Era venezuelano» ? È un lavoro che si merita tutti gli applausi ricevuti, quindi, “I soliti ignoti”, con una menzione per tutto il cast, da Marchioni nella parte che fu di Mastroianni, al Capannelle cui ha dato voce e corpo Salvatore Caruso, ad Antonio Grosso che fa Mario, alla giovane Marilena Anniballi che è sia la domestica padovana Nicoletta (e per fisionomia pare la stella in ascesa Saoirse Ronan) sia la siciliana Carmela che in un ballo carico di pathos con l’innamorato Mario tratteggia un primo abbozzo di emancipazione femminile. Poi ci sono gli omaggi al cinema, la fabbrica dei sogni che quando l’Italia si raccontava in bianco e nero faceva scuola nel mondo. E, mentre i protagonisti si ritrovano di fronte alla pentola di pasta e ceci, tornano alla mente le tante gag di Totò, povero e in credito di pranzi, alle prese con la pastasciutta. O, ancora, il «Maccarone, m’hai provocato e io te distruggo» con Alberto Sordi “Americano a Roma” in un’altra tra le scene di culto del cinema italiano. C’è il cinema, c’è l’Italia tutta cuore e capacità di arrangiarsi, ci siamo noi, forse in versione più ingenua e speranzosa, tra questi “Soliti ignoti”, e c’è anche la consapevolezza che con questa sceneggiatura, nel ’58, Monicelli inaugurò un linguaggio. Così, il finale teatrale si discosta dal copione cinematografico perché, nonostante l’insuccesso, davanti al piatto di pasta i protagonisti parlano di «un bel colpo da fare a Milano». È il richiamo al sequel “Audace colpo” che ebbe alla regia Nanni Loy, ma anche a tutti i lavori che nei “Soliti ignoti” si sono riconosciuti. La citazione è una volta di più toccante. E partono gli applausi. • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Lorenzo Parolin

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