<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
TEATRO.

Mori e Zoppello, fuochi d'artificio E la TragiCommedia è un'arte

Il loro “Don Chisciotte” firmato da Stivalaccio con la collaborazione di Carlo Boso ha ritmo, coesione e capacità di coinvolgere. Tutti...
Marco Zoppello/Sancho e Michele Mori/Don Chisciotte in azione sul palco del Lux di Camisano
Marco Zoppello/Sancho e Michele Mori/Don Chisciotte in azione sul palco del Lux di Camisano
Marco Zoppello/Sancho e Michele Mori/Don Chisciotte in azione sul palco del Lux di Camisano
Marco Zoppello/Sancho e Michele Mori/Don Chisciotte in azione sul palco del Lux di Camisano

Alessandra Agosti
CAMISANO
Quando Molière morì, il 17 febbraio 1673, dovette intervenire Luigi XIV in persona affinché il suo corpo potesse essere sepolto in terra consacrata. All'epoca, infatti, la Chiesa considerava ancora gli attori alla stregua degli eretici e dei peggiori malfattori, negando quindi al loro sonno eterno il beneficio di un camposanto. Figurarsi allora che cosa doveva essere la vita degli attori nel 1545, anno nel quale a Padova ser Maphio e alcuni colleghi comici costituirono la prima compagnia professionale a noi nota, ufficializzando quel formidabile fenomeno artistico e culturale che fu la Commedia dell'Arte, risposta laica e popolare alle Sacre Rappresentazioni sostenute dalla Chiesa come unica forma lecita di “teatro”.
Se dunque due comici - Giulio Pasquati da Padova, celebre Pantalone della compagnia dei Gelosi, e Girolamo Salimbeni da Firenze, Piombino della stessa compagnia - il 25 febbraio di quell'anno si fossero azzardati a mettere in scena una commedia, incuranti del fatto che si fosse in Quaresima, la loro sorte sarebbe stata segnalata: dritti alla forca, su condanna dell'Inquisitore.
Parte da qui il primo studio di “Don Chisciotte. TragiCommedia dell'Arte” da Miguel de Cervantes, su testo del vicentino Marco Zoppello, impegnato anche come attore al fianco dell'aretino Michele Mori, presentato in anteprima l'altra sera al Teatro Lux di Camisano, nell'ambito della stagione comunale di prosa.
Lo spettacolo completo, prodotto da Stivalaccio Teatro in collaborazione con l'Accademia del Teatro in lingua veneta, e realizzato con la collaborazione artistica di quel maestro della Commedia dell'Arte che è Carlo Boso, debutterà fra giugno e luglio al Festival di Serravalle di Vittorio Veneto.
Chi, lesto di mente e fresco di studi, ha già aggrottato le sopracciglia sentendo odore di anacronismo si tranquillizzi. Sì, è vero: nel 1545 Cervantes non era ancora nato (1547) e di conseguenza il suo don Chisciotte era ancora un bel po' di là da venire (1605). Ma che ci volete fare? La Commedia dell'Arte è un fuoco d'artificio di invenzioni, frizzi e lazzi: e allora, anno più anno meno... Senza contare che nel corso della storia Zoppello e Mori fanno di peggio, piazzando qua e là qualche pizzico di Manzoni e Shakespeare, Calderon de la Barca e Rostand, rientrando nei binari della cronologia giusto con qualche citazione presa da Dante, Luigi Pulci e Ruzante.
Per non dire di parole in libertà come “cerniera” o “single”, che però – va detto – ci stanno in pieno se consideriamo che oggi come allora la Commedia dell'Arte porta sul palco anche la contemporaneità.
Eccoci dunque alle prese con i due simpatici comici, già pronti per il patibolo. Che fare per salvarsi? L'idea è brillante: una commedia, il “don Chisciotte”, come ultimo desiderio e, alla fine, il loro destino nella mani del pubblico, perché se ci sarà l'applauso la loro vita dovrà essere salva (Vox populi, vox Dei). E i due si salveranno, eccome.
Ottima la resa complessiva dello spettacolo, scoppiettante e trascinante dalla prima all'ultima battuta. Zoppello/Sancho e Mori/Don Chisciotte portano sul palco - “vestito” con efficacia da una grande tela materica di Antonia Munaretti, autrice anche dei costumi - tutto quello che hanno imparato dai loro ottimi maestri, con in più una naturale carica vitale e comica. Il loro corpo e il loro volto (raramente coperto dalle maschere, peraltro molto belle, di Roberto Maria Macchi) parlano quella lingua universale dei gesti che decretò la fortuna di questa forma di teatro ben al di fuori dei confini italiani.
Tra i due l'intesa è perfetta e la presenza di un testo predefinito non mortifica la consistente e indispensabile percentuale di improvvisazione. Altrettanto ben gestita è l'interazione con il pubblico, che raggiunge il top nella dichiarazione d'amore di Salimbeni/Don Chisciotte a una Dulcinea del pubblico (che sprofonda nella poltroncina per la vergogna) e in una scena surreale che coinvolge Vicenza, un cucchiaino, George Clooney (altro spettatore, tanto alto quanto simpatico) e ancora Dulcinea (che non tornerà mai più a teatro, questo è certo).
Spettacolo divertentissimo, ben pensato e realizzato con grande bravura da due giovani attori di talento.

Suggerimenti