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Intervista al
paroliere Cheope
in Galleria Berga

Laura Guarducci VICENZA «Per scrivere una canzone, bisogna avere sincerità espressiva ed essere delle antenne riceventi: riuscire a cogliere i segnali che la vita ci dà e decodificarli». A svelare, con un sorriso contagioso, questo ed altri trucchi del mestiere, è il paroliere Cheope, pseudonimo di Alfredo Rapetti, figlio dell’immenso Giulio Rapetti, in arte e per decreto del Presidente della Repubblica, “Mogol”, paroliere di Lucio Battisti e di altri miti della canzone italiana. Il figlio ha cercato di scrollarsi di dosso cotanto peso per tracciare una sua carriera che ha incrociato anche un talento vicentino della canzone italiana: Francesca Michielin, oltre ad aver scritto anche per Laura Pausini, Raf, Arisa, Fiorella Mannoia. Abbiamo avuto l'occasione di incontrarlo alla Galleria d’arte moderna e contemporanea Berga a Vicenza, all’evento organizzato dall’associazione “Liberi Pensatori”. «Vogliamo creare, con appuntamenti di questo tipo ed itinerari alla scoperta delle bellezze della città, un ponte tra la cultura e i giovani, per condividere il nostro patrimonio artistico», ha dichiarato il presidente Francesco Poli. Nell’aria, un’atmosfera anni ’20-’30, con un repertorio swing-manouche suonato dall’effervescente duo vicentino “SwingJob”. Cheope, in che modo porta avanti il mestiere di famiglia? L’eredità di mio padre Giulio ha pesato come un macigno, siino a quando non ho avuto la gratificazione del pubblico e mi sono reso conto di poter fare questo lavoro in modo autonomo, cercando di evolvere il linguaggio usato in famiglia, avendo la chiarezza come linea guida. Di sicuro, ci è voluta una certa incoscienza per andar a confrontarmi con una leggenda, ma sono orgoglioso di portare avanti la tradizione. Quali caratteristiche deve avere una canzone per entrare a far parte della nostra vita? Serve lo “schock da riconoscimento”: le persone devono riconoscersi in quello che si dice e, così, il sentimento espresso diventa reale, non passeggero e la canzone riesce a rinnovare l’emozione. È suo il testo di “Nessun grado di separazione” per Francesca Michielin, seconda a Sanremo 2016 e presentata allo scorso Eurovision Song Contest. Da dove è nata l’idea e come è stato lavorare con lei? Tra la cucina e il salotto di casa mia: ho subito creduto che quel mio pensiero potesse diventare una canzone. Francesca è una grande interprete, l’ha resa al meglio dandole un significato universale. Ha una freschezza nella voce che rende tutto cristallino. Vedo in lei una purezza e una limpidezza interpretativa quasi adolescenziale e, nel contempo, una grande forza espressiva. Qual è il suo parere sui talent show e cosa fa la differenza fra gli esordienti? I talent servono a creare basi perché i giovani artisti possano camminare, qualcuno correre ed altri volare. E’ un modo per avere un’immediata visibilità. Il punto è capire quando si è maturi per non buttar via un’occasione. Si intuisce subito il peso specifico di un cantante perché le sue sono parole necessarie ed è naturale rimanere ad ascoltarlo. Al prossimo Festival di Sanremo ci sarà un brano scritto da lei? Si, è mio il testo di “Eterno” di Giovanni Caccamo, uno straordinario artista in cui credo molto. Lei è anche docente al “Centro Europeo di Toscolano” in Umbria, per formare nuovi professionisti della musica pop. Cosa c’è da insegnare ai giovani? Abbiamo una cultura derivativa e la tendenza è quella di ritrasmettere idee e parole di altri. La parte più difficile è diventare sorgente di pensiero. Si è chiusa, in quest’occasione, la sua mostra “La Parola Dipinta” in Galleria Berga. Che differenza c’è tra scrivere e dipingere? Scrivere è terapeutico, ma non è liberatorio, mentre dipingere è la parte liberatoria perché c’è il gesto. La pittura è il mio canto. •

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