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L'intervista

Elisabetta Sgarbi racconta: «Ecco il mio Extraliscio tra luci e nebbie»

Il gruppo musicale protagonista del documentario con Elisabetta Sgarbi
Il gruppo musicale protagonista del documentario con Elisabetta Sgarbi
Il gruppo musicale protagonista del documentario con Elisabetta Sgarbi
Il gruppo musicale protagonista del documentario con Elisabetta Sgarbi

Colori e nebbie. Un mondo delicatamente onirico, dove energia e passione scivolano sul filo di una sottile malinconia. Terra di luci e ombre, vitale e immaginifica, la Romagna ha fatto del liscio la sua musica e la sua bandiera. Elisabetta Sgarbi, seguendo in un trasognato viaggio on the road alcune jam session degli Extraliscio, gruppo musicale dalle molte anime e dalle seducenti contaminazioni sonore, costruisce un documentario – “Extraliscio, punk da balera” – capace di evocare la magia di un territorio denso di tradizioni, balli, vibrazioni, piccoli e grandi incantamenti. 
Premio SIAE per il talento creativo e premio della Federazione Italiana Cinema d’Essai, il lavoro approderà giovedì 11 novembre (ore 20) al Teatro Cinema Marconi di Isola Vicentina. Inserito nella rassegna dedicata ai documentari italiani promossa dal Comune e dall’Associazione Is Art diretta da Luca Dal Molin, il film racconta la storia di una band romagnola impegnata in un liscio eccentrico e originalissimo. 
Le sperimentazioni del polistrumentista Mirco Mariani, le nuance clarinettistiche di Moreno Conficconi, detto il Biondo, e la voce della tradizione Mauro Ferrara accompagnano lo spettatore in un concerto itinerante nel quale il folk romagnolo si fonde con il rock, il pop, il rap e le improvvisazioni luccicanti delle chitarre noise. 
Un percorso ricco d’incontri, scambi, commistioni, trapianti, in cui c’è gioco, comicità e ironia, ma anche tanta delicatezza e poesia. Soprattutto quando Ermanno Cavazzoni - ispiratore dell’ultimo film di Federico Fellini, “La voce della Luna”- accende la narrazione di un avvolgente lirismo, che scivola come un canto sul Delta del Po, sulla Sacca di Goro, su rive, barconi, fabbriche, balere, siti dismessi e spiagge deserte. Ciò che resta, alla fine, è la storia di un mondo al tramonto, che come per miracolo torna a rivivere e a sognare nel segno di una trascinante modernità, fra le cui pieghe batte il cuore antico di quella Romagna mitica e gioiosa dove “ogni insegna è una canzone”. 
Ne abbiamo parlato con Elisabetta Sgarbi, regista, produttrice e co-autrice di questo pluripremiato documentario pieno di musica, nebbia e allegria. 
Classe 1965, padre veneto, madre romagnola, laurea in farmacia, una riservatezza che fa il pari con l’irruenza del fratello Vittorio, la sua è una presenza carismatica nel mondo dell’editoria italiana. Per oltre vent’anni responsabile editoriale della Bompiani, attualmente è al timone della Nave di Teseo, fondata nel 2016 con Umberto Eco e altri autori interessati al progetto. Dice che il cinema è entrato nella sua vita un po’ in ritardo. Ma la qualità della sua produzione, testimoniata da un lungo elenco di titoli importanti, rivela uno sguardo in grado di esplorare in modo del tutto singolare i territori di un immaginario misterioso e potente.

 

Elisabetta Sgarbi, chi sono gli Extraliscio?
Non è facile definirli. Pur così reali, fisici, energetici, può capitare che nel film assumano le sembianze di fantasmi attraversati da luci e nebbie, creature di sogno evocate dalla parola poetica di Ermanno Cavazzoni. Una dimensione in controtendenza rispetto alla percezione che sia ha in genere della Romagna e degli Extraliscio, ma in entrambi i casi ho voluto indagare, accanto all’anima appariscente della gioia e all’energia, anche quella più defilata e malinconica.

Parole e immagini a cui la sua regia regala sequenze di notevole suggestione visiva…
Ermanno Cavazzoni contribuisce allo slittamento del film verso una dimensione onirica. Inventa una bevanda alcolica, “Il Saint Jacques”, che da’ un po’ alla testa e fa vedere cose che in realtà non ci sono. E questo fin dalla prima scena, quando gli Extraliscio appaiono e scompaiono dietro un bancone che sembra quello dell’Overlook Hotel di Shining.

Il film è dedicato “A Rina, che ha ballato”. Rina è la sua mamma. Una dedica non al passato remoto, ma al passato prossimo. Quanto c’è di Rina in questo lavoro?
Lei è in me, sempre. In ogni cosa che faccio. So che avrebbe amato gli Extraliscio, le loro canzoni, la loro libertà e allegria. La mamma era romagnola, adorava il ritmo, la musica, il ballo. Ballava prima di conoscere mio padre e poi ha ballato con lui. A mio fratello Vittorio, che aveva con lei un rapporto di totale complicità, è sempre piaciuto questo suo aspetto giocoso.

S’intuisce in lei una grande emozione nei confronti del cinema, come se il mondo di parole in cui è immersa la sua attività editoriale sentisse l’urgenza di aprirsi su territori abitati da immagini, suoni, colori e nuovi orizzonti. È così? 
Ho scoperto il cinema in tutta la sua potenza abbastanza tardi. Grazie a Enrico Ghezzi ho imparato a conoscerlo, non come oggetto o prodotto da guardare, ma come qualcosa che ci guarda mentre noi lo guardiamo. Il cinema è un po’ quella caverna scura - di cui scriveva Leonardo in riferimento ai misteri della natura - che crea in noi un misto di paura e desiderio. Con Eugenio Lio, filosofo, teologo e aiuto regista di tanti miei film, ci intendiamo benissimo su questa idea di cinema.

Pupi Avati ha portato nelle sale cinematografiche “Lei mi parla ancora”, il libro scritto da suo padre con Giuseppe Cesaro nel 2016. Un lavoro delicato, molto intimo, in cui si racconta la grande storia d’amore che ha tenuto insieme i suoi genitori per oltre sessant’anni. Che impressione ne ha ricavato?
Tutte le impressioni e tutte le emozioni possibili: malinconia e dolore nelle scene della perdita, gioia nel vedere i miei genitori giovani e fidanzati quando io ancora non c’ero. Potenza del cinema che mi ha permesso questo viaggio a ritroso nel tempo, là dove affondano le mie origini.

La Nave di Teseo compie sei anni. Il timone è saldamente nelle sue mani. Le tre cose di cui va maggiormente fiera? 
Sono orgogliosa della sua ricchezza, varietà e vivacità, ma anche dell’amore che per questa giovane, scalpitante creatura sento nei lettori, negli scrittori e nelle persone di assoluta qualità che condividono con me questa avventura.

Fra i tanti scrittori che ha frequentato, letto, conosciuto, avvicinato, quale considera in assoluto il più geniale?
Non posso e non so fare graduatorie. Ho avuto e ho la fortuna di lavorare con autori straordinari. Veri e propri geni. Oggi, alla sua domanda, rispondo Enrico Ghezzi. 

Qual è il suo posto delle fragole?
La casa di Ro Ferrarese, la casa dei miei genitori, dove ho trascorso questo lungo periodo di pandemia. C’è un’uva fragola dolcissima. La vite l’aveva piantata mio padre.

Maurizia Veladiano

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