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In sala

«Challengers», il servizio vincente di Guadagnino

di Canini Luca
E' il film più visto e distribuito in Italia, con il tetto dei tre milioni di euro sfondato in meno di due settimane, mentre negli Stati Uniti sono addirittura 15 i milioni di dollari incassati in soli sette giorni
I protagonisti Mike Faist, Zendaya e Josh O’Connor in «Challengers» di Luca Guadagnino
I protagonisti Mike Faist, Zendaya e Josh O’Connor in «Challengers» di Luca Guadagnino
I protagonisti Mike Faist, Zendaya e Josh O’Connor in «Challengers» di Luca Guadagnino
I protagonisti Mike Faist, Zendaya e Josh O’Connor in «Challengers» di Luca Guadagnino

La partita del botteghino l’ha già vinta: 6-1, 6-2 e tutti a casa. Questione di numeri: «Challengers» è il film più visto e distribuito in Italia, con il tetto dei tre milioni di euro sfondato in meno di due settimane, mentre negli Stati Uniti sono addirittura 15 i milioni di dollari incassati in soli sette giorni. Mica male, davvero. Anche se la sorpresa è sorprendente fino a un certo punto: Luca Guadagnino i piani alti delle classifiche di gradimento li frequenta fin dai tempi di «Chiamami col tuo nome», che ebbe il merito (o il demerito, se siete di quelli che in California preferiscono andarci solo per le vacanze) di spalancargli le porte della Hollywood che conta. Certo, da allora sono usciti il più che dimenticabile remake di «Suspiria», che al netto della colonna sonora di Thom Yorke non aveva molto da offrire, e il più che discutibile «Bones and All», entrambi archiviati alla voce «boh»; ma era nell’aria che a forza di dai sarebbe arrivato il momento del salto di qualità, della consacrazione definitiva, sia a livello commerciale che autoriale.

Stavolta ci siamo


Già, perché «Challengers» non è solo un film che macina numeri da blockbuster ma è anche il miglior film di Guadagnino. Il primo in cui il regista dell’imperdonabile «Melissa P.» (era il 2005) è riuscito finalmente a trovare la misura perfetta, il punto di equilibrio tra gli eccessi ultra-pop, l’irresistibile richiamo dell’ostentazione, dell’estetismo sperticato, e la mano ferma di chi il mestiere lo sa fare, di chi ha imparato a tenere le redini di una produzione da lustrini e tappeto rosso. Funziona tutto quello che deve funzionare, in «Challengers»; che ridotto ai minimi termini non è altro che l’ennesima variazione sul tema dei temi: il triangolo amoroso alla «Jules e Jim». Lui, lui e lei. Patrick, Art e Tashi. Professione: tennisti. Amici fin dai tempi dei primi tornei i due maschietti; talento destinato a vincere tutto l’ape regina della situazione. A legarli con un filo rosso passione, a trascinare anche noi nel vortice del desiderio, una tensione erotica che accarezza la pelle e si insinua sotto i vestiti fin dalle primissime sequenze.

È un film dannatamente sexy «Challengers», anche se l’unica cosa che manca è una vera scena di sesso. Certo, si vogliono, si inseguono, si baciano, si accarezzano, Patrick, Art e Tashi, ma al dunque la pellicola non ci arriva mai, ci tiene sempre fuori dalla camera da letto. Il sesso fisico - sudore, contatto, amplesso, urla di piacere agonistico - si gioca sul campo da tennis, la tensione erotica la consumano le racchette. Non a caso «Challengers» è strutturato come una partita, suddiviso in tre set al posto dei canonici tre atti. Con Patrick e Art nel ruolo degli sfidanti del titolo, mentre i favori di Tashi, in una sorta di parafrasi sportiva di una giostra medievale, sono il trofeo in palio. Ma non solo: è più di un’amicizia quella che unisce i due protagonisti al maschile, attratti (omo)eroticamente l’uno dall’altro. Anche qui poco di esplicito, se non un goffo bacio propiziato da Tashi. Ma chi ha definito «Challengers» un manifesto della bisessualità probabilmente ha centrato il punto.

Attraverso un racconto a pendolo, che ci fa rimbalzare come una pallina impazzita tra passato e presente, Guadagnino ci parla delle forme che può assumere il desiderio, dell’amore come ossessione e come ambiguità, ma anche di dominio, di possesso, di crudeltà, di avidità. Tanto di ogni cosa senza mai andare in overbooking. Grazie a una sceneggiatura a prova di strappo e soprattutto a tre meravigliosi interpreti: Josh O’Connor, l’Arthur di Alice Rohrwacher e del suo «La chimera», il quasi esordiente Mike Faist, e la stella Zendaya, che da diva assoluta ci mette tutto il carisma del quale è naturalmente dotata. In omaggio la colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross, adrenalina pura, e un finale che arriva dritto e veloce come un servizio vincente. Game, set, match.

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