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L'INTERVISTA

Antonio Albanese: «I crac bancari sono pagine tragiche, “Cento domeniche” era necessario»

Il film, presentato alla Festa del Cinema di Roma, esce nelle sale il 24 novembre

Questo film lo ha preparato fin nei minimi dettagli. Ci ha messo un paio d’anni, un quintale di passione e una tonnellata di professionalità. Ha studiato, ha scritto, ha diretto, ha interpretato una storia italiana. La storia di tanti, troppi italiani, finiti nella trappola dei tanti, troppi crac bancari che si sono portati via soldi e sogni, serenità e futuro di migliaia di risparmiatori. In “Cento domeniche” Antonio Albanese ha messo tutto se stesso. Il film è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma ed esce nelle sale domani.

Soddisfatto di com’è venuto?
La prima prova l’ho fatta l’altra sera al cinema Anteo di Milano.

Ma come, non era già stato presentato a Roma?
Sì, ma quella è un’occasione diversa, un festival, il pubblico non è di spettatori paganti, sono tutti invitati, addetti ai lavori. L’Anteo, invece, si è riempito di gente che ha pagato il biglietto.

E com’è andata?
Mi crede se le dico che una reazione così impetuosa da parte del pubblico in sala io non l’avevo mai vista.

Una pellicola che va dritta al cuore


Ci credo, perché è un film che centra il bersaglio. Va dritto al cuore, dopo aver fatto ribollire le viscere. In Antonio Riva, l’operaio in prepensionamento che scopre di essere stato tradito dalla banca di cui si fidava, si riconosceranno in tanti. Qual è il segreto di questa riuscita?
Non c’è un segreto. Se non quello di aver deciso di trasformare in un film, un film necessario, una pagina tragica che, finora, nessuno aveva pensato di portare sullo schermo mettendosi nei panni dei primi di questo Paese.

I primi?
Sì, i primi. Per molti gli operai, i lavoratori son considerati gli ultimi, quelli che pagano per tutti. Ma per me sono i primi. Sono loro che tengono in piedi questo Paese. Sono i primi, appunto. Eppure dei cinque milioni di operai metalmeccanici non parla nessuno, non vengono ritenuti adatti per farci un film. Ecco, il segreto è quello di averci fatto un film. Non è stato semplicissimo.

Perché?
Diciamo che non c’era la fila per produrlo. Ma credo che alla fine ne valesse la pena. 

Lei è stato a Vicenza, nella fase di studio del film, si è documentato, ha parlato anche con Emilia Laugelli, la psicologa che ha gestito il numero anti-suicidi in Veneto nel momento in cui la BpVi e Veneto Banca stavano crollando. Perché ha deciso di girarlo a casa sua, tra Olginate e Lecco?

I crac bancari sono stati tanti e tutti coloro che sono stati colpiti hanno sofferto nello stesso modo. La vergogna, la solitudine, la rabbia sono state declinate con la stessa forza, o debolezza. Ho scelto la mia terra perché sapevo come muovermi, perché lì anch’io ho fatto l’operaio. Potevo tranquillamente essere l’Antonio Riva di turno.

Cosa pensa di chi ha detto che “Cento domeniche” sembra un film di Ken Loach?
Guardi, posso dire di esserne lusingato, perché di Ken Loach ho visto e apprezzato tutto. Così come sono un ammiratore incondizionato dei film di Mike Leigh. Ma quando faccio un film ci metto solo del mio. Certo, anche qui, come molti film di Ken Loach, si racconta la storia di operai. Ma c’è una cosa che mi differenzia dal maestro britannico.

Quale?
Io l’operaio l’ho fatto davvero.

Il film girato nella fabbrica dove Albanese aveva lavorato

Ha girato in una fabbrica in riva al lago. È vero che è stata la sua fabbrica?

Verissimo, io ho lavorato lì dai 15 ai 22 anni, prima di essere travolto dalla passione per il teatro e per il cinema. Credo di essere l’unico al mondo a recitare davanti al tornio su cui ha lavorato. In alcune scene, sullo sfondo, si vede anche la casa dove sono nato e vissuto. E si vedono anche le persone che mi hanno visto crescere.

E gli attori? Come li ha scelti? A guardare il film sembra davvero una macchina perfetta...
Si è creata un’alchimia magica, come se tutti avessero preso a cuore le sorti di Antonio Riva. Stimo tutti gli attori, che ovviamente conoscevo benissimo e sapevo quello che erano in grado di offrire. Sono andati oltre. Da Liliana Lazzarini, che nel film è mia madre, a Liliana Bottone, mia figlia, fino a Sandra Toffolatti, la mia amante, che è nata a Vicenza e ha vissuto nel Trevigiano, una che il Veneto lo conosce bene. E poi abbiamo curato i dettagli.

Tipo? 
Non abbiamo mai girato col sole. Volevamo che si respirasse una certa atmosfera. E anche le musiche di Giovanni Sollima sono state perfette. Pensi che gli ho chiesto anche un tema, per mettere a proprio agio gli attori. Ci ha messo un po’, all’inizio non veniva. Poi è uscito qualcosa di magico.

Lei si è preparato molto prima di iniziare a scrivere e a girare. Che idea si è fatto dei diversi crac bancari che si sono verificati in Italia?
Mi ha colpito la dignità delle tante persone colpite. E addirittura il senso di colpa e la vergogna che molti hanno provato per una tragedia finanziaria di cui erano vittime e non certo responsabili. Ascoltando tutte queste storie, con Piero Guerrera ci siamo detti: rimbocchiamoci le maniche e facciamo un film che, almeno, faccia capire a queste persone che non sono sole. 

 

Marino Smiderle

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