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«Mantenere la qualità, tagliare i costi»

LA RICETTA DEI PRODUTTORI. Il settore ha bisogno di una strategia per superare le difficoltà del momento di crisi. Le indicazioni sono concordi nell'indicare una strada
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Dove va il vino italiano? Altrove. In Cina o in Brasile per quel che riguarda i consumi, in regioni o zone di minor fama ma ugualmente felici per poter mantenere la qualità ma ridurre il prezzo, per quel che riguarda la produzione. E poi: verso la tradizione, la valorizzare dei vitigni autoctoni e del territorio. I produttori vicentini si apprestano a sbarcare a Vinitaly ciascuno con una sua idea e una ricetta sul domani del settore. «Il vino italiano viaggia a due velocità - spiega Francesco Zonin che con i fratelli Domenico e Michele è vicepresidente della Casa vinicola di Gambellara - Cala il consumo domestico, anche se il vino è talmente parte integrante della nostra cultura e tradizione che soffre meno degli altri settori alimentari, mentre nel mercato estero viene sempre più apprezzato, e questo è il risultato di una rivoluzione in nome della qualità che negli ultimi trent'anni ci ha portato a produzioni che niente hanno da invidiare ai francesi».
«Il vino dell'osteria, il quartino sfuso non si beve più», commenta Fausto Maculan, erede di una tradizione enologica vecchia di generazioni, che vinifica le migliori uve di Breganze per il celebre Torcolato e fotografa così il presente: «In Italia oggi si fa vino buono dalla Sicilia alla Val D'Aosta, dalla Marche alla Campania. La tecnologia in cantina si è evoluta, si sono diffuse figure professionali capaci. Il problema - prosegue - è che nei supermercati le bottiglie che costano più di 10 euro restano là. La crisi economica incide. Bisogna mantenere la qualità ma abbassare il prezzo». La ricetta per Maculan è una delocalizzazione dei vigneti: «Il costo per lavorare un chilo di uva è sempre quello, ma in certe zone si sconta un sovrapprezzo dovuto alla loro fama. Però io posso produrre prosecco buono a Valdobbiadene ma anche a Pieve di Soligo o a Vicenza. Ci si può orientare a produrre bene ma in zone diverse, perché il costo del territorio non incida troppo su quello della bottiglia».
«La situazione in Italia è difficile - riprende Marco Margoni Dalle Ore, che con i fratelli Vittorio e Luciano produce nella tenuta in località “La Bertolà” a Trissino uno dei primi dieci Riesling in Italia - sugli alcol test è stata fatta una campagna di terrorismo e questo ha ridotto di un terzo i consumi di vino per i ristoranti. L'Iva sulle bottiglie al 21%, quando invece sui prodotti agricoli è al 4%, ammazza il mercato. La crisi dei consumi però - riflette - aiuta chi produce vino di qualità: si beve meno ma meglio. Le difficoltà funzionano da selezione». Per Margoni la rotta del futuro è l'oriente: la Cina. «Il mercato cinese - spiega - equivale a milioni ettolitri di vino: solo il 4% è rappresentato dal prodotto italiano. È un mercato recente, di scarsa tradizione e anche di scarsa qualità. Bisogna puntare a questo bacino». «Il futuro dipende dalla capacità che avremo di fare squadra - prosegue Francesco Zonin - l'Italia ha un patrimonio viticolo unico al mondo, una varietà e una ricchezza di vitigni incomparabili, però il settore è composto da una miriade di piccoli produttori che finora, con grande merito, si sono fatti conoscere perché avevano sempre la valigia pronta e hanno girato il mondo. Oggi in un mercato così aperto, così competitivo, serve qualcosa di più. Se nella qualità non abbiamo niente da imparare nella promozione diventa importate fare sistema».
«Non solo andare verso l'estero ma anche portare l'estero qua». Per Tommaso Piovene Porto Godi, famiglia di viticoltori dal Cinquecento, tenuta a Toara, sui colli Berici la direzione si chiama tradizione: «Per il vino non deve succedere ciò che è successo per i prodotti industriali, cioè che diventi un oggetto fatto in serie. Bisogna portare le persone nei nostri vigneti, far capire dove nasce un vino, quale cultura ha alle spalle. E poi bisogna puntare sui vitigni autoctoni, che abbiamo una connotazione precisa e l'impronta di un territorio»
Concorda Stefano Zonta, che con il cugino Adriano conduce l'azienda agricola “Due Santi” a Bassano: «Io penso che dobbiamo continuare a rispettare le specificità del territorio, che sono il marchio di riconoscibilità del made in Italy. Dobbiamo essere radicati nelle nostre doc, continuare a fare vino di qualità, ottimizzando le zone più vocate per la viticoltura: cioè per continuare a produrre sempre meglio serve per esempio avere il coraggio di selezionare i vigneti, di espiantarli e reimpiantarli in zone più adatte. Sono investimenti a medio termine, non facili, ma necessari. Nel proporsi all'estero - prosegue - bisogna ancorarsi al marchio Italia ed evitare improvvisazioni, creare piuttosto un dialogo costante».
Vittorio Santacatterina, presidente della cantina Bartolomeo Breganze, mille soci, 3 milioni e mezzo di bottiglie all'anno e l'obiettivo di far conoscere in Italia e nel mondo i vini della zona doc di Breganze crede nella tipicità: «Le nostre sono tutte aziende molto piccole, per noi è essenziale la qualità e far capire la specificità del nostro prodotto. Il 60% dei nostri vini si consumano in provincia o comunque nel mercato locale. La sfida del futuro è mantenere questo radicamento nel territorio, la coltivazione dei nonni e dei padri, ma anche guardare ad altri mercati: siamo presenti nel mercato di Inghilterra e Irlanda ma per giungere a quelli più nuovi servono aggregazioni con altre tipologie di prodotti. Crediamo - conclude - che sia importante anche stare al passo con i tempi per quel che riguarda le tecnologie e stiamo investendo, in cantina, nelle energie rinnovabili».
Silvia Castagna

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