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«I miei 5 anni indimenticabili con Nanda»

LA TESTIMONIANZA. Il giovane scledense ricorda commosso la scrittrice scomparsa. Con lei aveva stabilito un rapporto di collaborazione e di stima reciproca

Enrico Rotelli, 31 anni, ha lavorato con la Pivano fin dal 2004. È stato il curatore dei suoi "Diari"
La traduttrice Fernanda Pivano con lo scledense Enrico Rotelli
La traduttrice Fernanda Pivano con lo scledense Enrico Rotelli
La traduttrice Fernanda Pivano con lo scledense Enrico Rotelli
La traduttrice Fernanda Pivano con lo scledense Enrico Rotelli

Vicenza. «Fernanda era il ritratto del coraggio». Non ha dubbi Enrico Rotelli, nel ricordare, con una sola immagine, l'amica e maestra che non c'è più. L'amica e maestra è la scrittrice Fernanda Pivano, scomparsa l'altro ieri a 92 anni. Con lei il giovane Enrico, 31 anni, di Schio, ha trascorso gli ultimi cinque, indimenticabili e intensissimi anni di vita professionale. Un connubio letterario e al tempo stesso umano, iniziato nel 2004 e che ha visto lo scledense vivere fianco a fianco con "Nanda", prima assistendola nei rapporti con gli editori e i giornalisti e poi arrivando a curare per lei la pubblicazione dei "Diari", editi per Bompiani poco più di un anno fa.

Fernanda Pivano poteva essere sua nonna. «Ma non l'ho mai vista in quest'ottica», assicura sorridendo Rotelli, che dopo la laurea in Semiotica dell'Arte ha avuto l'onore, la fortuna e la bravura di conquistarsi un lavoro al suo fianco. C'erano 61 anni di differenza tra i due, ma a volte la carta d'identità mente.
«Fernanda era più giovanile, lucida e vitale di tantissime persone con cui ci trovavamo spesso a cena - assicura Rotelli -. Era curiosa. Ironica ed autoironica».
La donna che ha fatto conoscere all'Italia i miti della Beat Generation.

Come vi siete conosciuti?
Una conoscenza comune ci ha messi in contatto. Mi ero proposto come suo collaboratore, dicendole, però, che prima mi attendeva un viaggio a New York. Mi disse "va bene"... forse proprio per quello. Con "l'ambasciatrice del nuovo mondo" tutto iniziò dall'America.

Un destino?
Diciamo di sì. E c'è di più: dopo pochi giorni tornai con lei a New York, all'apertura del Moma. Fu lì che iniziai a conoscerla davvero.

Fernanda in una parola?
Coraggiosa. Ha avuto coraggio fin dall'inizio della sua vita, da quando accettò di finire in prigione pur di tradurre "Addio alle armi" e i libri che il regime vietava. E coraggiosa anche a 90 anni e passa, quando continuava ad avere fiducia e speranza nella non violenza, il filo rosso che ha delineato la sua vita. Non perdeva la speranza, anche se più volte, di fronte al sangue sparso nel mondo, si era dichiarata sconfitta.

Niente "compromessi"...
No, quello è tra i concetti più lontani dal suo modo di essere. Era attenta e rispettosa delle esigenze di tutti, ma non era disposta a compromessi.

Quale, dei miti che ha raccontato, ha segnato più profondamente la vita di Fernanda Pivano?
Pavese è stata la persona che l'ha aperta al suo mondo. Poi c'è Hemingway, certamente, che per incontrarla, nel '56 a Cuba, lasciò le riprese de "Il vecchio e il mare". E come dimenticare Fabrizio De Andrè: erano veri amici, mi raccontava spesso di quando aveva passato il Natale con lui e Dori Ghezzi...

Quale aneddoto, quale ricordo di lei porterà sempre con sé?
Tanti. Troppi per essere elencati. Forse i più belli e intimi sono legati ai viaggi in auto. Lei ed io, da Genova a Venezia: emergevano tanti aneddoti, tante riflessioni, sulle cose di ieri e di oggi. Non dava consigli, ma da lei imparavi soltanto standole vicino.

Mai una discussione, un litigio?
Litigi no, anche quando si stava insieme, si lavorava tanto e ci si stancava, la sua ironia aiutava a spezzare la tensione.

Che cosa le ha insegnato Fernanda Pivano?
Mi ha insegnato a combattere per ciò in cui credo, ad affrontare con coraggio e coerenza la vita e le sue sfide.

Marco Scorzato

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