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La nuova
vita
del Libano

ITINERARI. Un sorprendente Paese, grande metà del Veneto, che ha impresse tracce di storia antica e guerre recenti. Neve sulle foreste dei cedri, templi romani e statuette fenicie narrano di un fertile passato. E Beirut è rifiorita sulle macerie
Il tempio di Bacco a Baalbek. In alto  cedri innevati e statuette fenicie
Il tempio di Bacco a Baalbek. In alto cedri innevati e statuette fenicie
Il tempio di Bacco a Baalbek. In alto  cedri innevati e statuette fenicie
Il tempio di Bacco a Baalbek. In alto cedri innevati e statuette fenicie

Beirut. Grande poco più della metà del Veneto, il Libano offre di tutto al visitatore che vuole conoscere una realtà ricca di storia e contraddizioni. C'è il mare e il monte: nell'incantata Foresta dei cedri (alberi dalla doppia vita, parenti stretti degli abeti) c'era quest'anno più neve che ad Asiago.
C'è la fascia costiera invasa dal cemento e la fertile Valle della Bekaa con la sua frutta dai sapori dimenticati. In Libano Fenici, Greci, Romani, Bizantini, Musulmani, Crociati, Mammelucchi e Ottomani hanno lasciato tracce importanti.
Sono conservate nel museo nazionale a Beirut (dopo essere state messe in salvo dalla guerra) o si possono visitare in siti archeologici d'immenso valore, come gli imponenti templi di Giove e Bacco a Baalbek, la città omayade di Anjar (prima testimonianza di architettura araba), i castelli di Tripoli, Sidone e Byblos. A Beirut una moschea è stata ricavata in una chiesa costruita al posto di una vecchia moschea edificata sopra un tempio romano… A Tiro, città più a Sud, una grande necropoli romana è affiancata da un campo profughi palestinesi: il confine con Israele è a due passi e qui si possono incontrare i blindati bianchi dell'Onu.
Con le truppe internazionali che fanno da cuscinetto fra Hezbollah ed israeliani, la sponda libanese del Mediterraneo in questo momento è tranquilla. Se non altro perché per 15 anni, dal 1975 al '90 (oltre alle successive “attenzioni” degli israeliani), e con oltre 150 mila morti i libanesi la guerra civile l'hanno sperimentata sulla propria pelle ed ora preferiscono starsene in pace per riprendersi quel ruolo di “Svizzera del Medioriente” che aveva portato ricchezza e sviluppo. E ci riescono, nonostante le mille contraddizioni che si vivono da quelle parti.
Una balza evidente appena si arriva a Beirut: grattacieli di vetro e cemento a fianco dei ruderi della guerra, che aspettano di essere demoliti e ricostruiti; impressionante su tutti l'edificio dell'Holiday Inn, allora il più grande della città, diventato roccaforte dei cecchini e bersaglio dei tiri di tutte le fazioni in campo; è rimasto in piedi, sventrato, con i finestroni che sembrano inquietanti occhiaie vuote.
Il centro della città, già zona verde e linea di demarcazione, è stato raso al suolo dalla guerra; Solidere, società internazionale, ha comprato edifici abbandonati e li ha ricostruiti, con caratteristiche e materiali del passato, molto belli ma senza abitanti, solo uffici e negozi. Ricostruito anche il suq, che però non è più il tipico mercato arabo ma un moderno centro commerciale come se ne vedono in tutto il mondo. Sulla Corniche, la lunghissima passeggiata a mare, è un susseguirsi di negozi di lusso.
Ci sono strade larghe, marciapiedi comodi, zone pedonalizzate, anche per sicurezza, per evitare il rischio auto bomba. Come siano andate le cose da queste parti lo si capisce dalle guardie armate in servizio in molti punti sensibili, dagli accessi vietati, dai posti di blocco fissi, anche lungo l'autostrada. Ma i soldati lasciano passare, al massimo fermano un pulmino di lavoratori siriani che tornano al loro paese dopo averlo caricato fino all'inverosimile. La presenza di immigrati comincia a farsi vedere, uomini di fatica africani e cameriere asiatiche dicono che il benessere sta arrivando anche da queste parti.
Appena fuori dal centro, però, si è investiti da un traffico caotico con una gran quantità di macchinoni che strombazzano a fianco di vecchie carrette senza fanali. Il codice della strada è un optional, basta buttarsi; le manovre più azzardate non provocano proteste, ma basta fermarsi un attimo ed è tutto un clacson. Per parcheggiare vengono sfruttati i vuoti aperti dagli edifici demoliti per aree di sosta guardate da persone che dormono sul posto in una baracca. Questa parte di Beirut non è fatta per i pedoni: i marciapiedi sono altissimi con buche e ostacoli di ogni genere, muri di macchine; ma si può sempre prendere uno dei taxi che passano in continuazione. Inesistenti gli autobus.Info: www.lebanon-tourism.gov .lb

Dino Biesuz

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