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Il bollito

Sette tagli di carne per il bollito di Giorgio Damini: cappone, lingua, capel del prete, cotechino, punta di petto, testina e coda
Sette tagli di carne per il bollito di Giorgio Damini: cappone, lingua, capel del prete, cotechino, punta di petto, testina e coda
Sette tagli di carne per il bollito di Giorgio Damini: cappone, lingua, capel del prete, cotechino, punta di petto, testina e coda
Sette tagli di carne per il bollito di Giorgio Damini: cappone, lingua, capel del prete, cotechino, punta di petto, testina e coda

È un piatto classico della cucina, che ha grande tradizione in Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, e che trova differenti esecuzioni a seconda della regione. Ma prima di tutto si deve distinguere tra bollito e lesso, perché non sono termini equivalenti. Il bollito è il frutto di diversi tagli di carne lasciati, appunto, a bollire a lungo e serviti caldi assieme. Con il termine lesso, invece, si indica la carne che è utilizzata per preparare il brodo e che magari, in seguito, è servita come piatto a sè stante. “Che sia bollito o lesso - spiega il gastronauta Davide Paolini –-subito si sente il profumo, magari quello di casa, al mattino di Natale o di una domenica fredda e piovosa, così come salgono i ricordi… Sì, perché è una pietanza di casa, di famiglia”.
Il bollito è legato al sette, cifra che nella numerologia sta a indicare l'unione di divino (tre) e umano (quattro). Sette sono i tagli di carne utilizzati, anche se variano a seconda del luogo. Sono indicati come “i sette tagli sacri” nella ricetta del ristorante Moderno a Carrù, provincia di Cuneo, borgo di 4.000 abitanti in cui ogni anno si svolge la Fiera del bue grasso. Eccoli: scaramella (che a Milano è conosciuta come “bianco costato reale”), spalla, muscolo (polpaccio), fiocco di punta, tenerone, cappello da prete, stinco di un bue maturo di razza piemontese di almeno quattro anni.
Molti locali nel Vicentino sono celebri per la loro versione del bollito, a iniziare dal “Leoncino” di Tavernelle ad Altavilla. Tra i cuochi più giovani, Giorgio Damini - che ha bottega ad Arzignano con il fratello Giampietro - propone il bollito composto da: cappone, lingua, capel del prete, cotechino, punta di petto, testina e coda. Ciascuno di questi ingredienti ha una cottura separata per rispettare le diverse consistenze. Il piatto è servito con un po' di brodo per mantenere il calore e naturalmente è accompagnato da numerose salse: mostarde mantovane e cremonesi ai diversi sapori, dal mandarino all'anguria bianca, cren nostrano, e soprattutto la pearà, salsa tipica veronese che ricorda le origini della famiglia. È realizzata con pane grattugiato, midollo di bue, burro, brodo di carne e abbondante pepe: “Non so ancora farla bene come quella della mamma”, si rammarica Giorgio Damini, che pure ha lavorato con Nadia Santini e Giancarlo Perbellini.
Un altro piatto interessante che Giorgio Damini propone è la zuppa di cicerchie, legumi abbastanza simili ai ceci, cui sono aggiunte nel piatto delle polpettine di fegato grasso d'anatra. Le cicerchie, che vanno lasciate a bagno una notte intera e pulite dalle pellicine, sono fatte bollire piano piano - il termine pipàre rende l'idea - per quattro ore su un fondo di sedano, carote, cipolla e guanciale affumicato. A parte è preparata una terrina di fegato grasso di anatra, che viene aggiunto al piatto. Come tutte le zuppe, anche questa ha un valore rassicurante e consolatorio, che qui è impreziosito dal fegato d'anatra.

Antonio Di Lorenzo

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