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NASCE APP CON BLOCKCHAIN

Vestiti, vietato buttarli. Nasce il mercato lungo

Matteo Ward con la sua app Peas che indica quanto un capo è stato usato
Matteo Ward con la sua app Peas che indica quanto un capo è stato usato
Matteo Ward con la sua app Peas che indica quanto un capo è stato usato
Matteo Ward con la sua app Peas che indica quanto un capo è stato usato

Dal primo gennaio i capi di abbigliamento che non si usano più non vanno smaltiti nel bidone del “misto” non riciclabile, ma separatamente, negli appositi cassonetti gialli che si trovano sul territorio. Ma quanti lo sanno? In pochi, visto che dell’obbligo della raccolta differenziata dei rifiuti tessili, parte del pacchetto di direttive europee sull’economia circolare, si è parlato molto poco. «Da una parte - commenta il manager vicentino Matteo Ward, attivista per la moda sostenibile e fondatore della startup Wråd (Wrad) - è un bene perché l’Italia ha anticipato di tre anni l’attuazione della normativa, dall’altra però non sono state definite le linee guida. I Comuni non sono preparati a questa rivoluzione, non ci sono nemmeno le infrastrutture che possono garantire una gestione corretta del riciclo e dello smaltimento dei rifiuti tessili, ed è mancato anche un progetto formativo su capi di fibre differenti che seguono filiere di riciclo diverse». 7 prodotti tessili su 10 non possono essere riciclati Il problema di quanti rifiuti tessili si producono è serio: gli indumenti smessi hanno il peso più rilevante. Anche se li vendiamo tramite app o li portiamo a cooperative e associazioni benefiche sono comunque troppi. La cooperativa Insieme, una delle più grandi in Europa, ne processa 300 tonnellate l’anno solo a Vicenza, eppure, solo il 20% viene rivenduto. Per il riciclo poi la faccenda si complica: «Il 70% dei prodotti tessili - spiega Ward - sono costituiti da un mix di fibre sintetiche e naturali che ad oggi non si possono riciclare e, se non avviati al riuso, finiscono in discarica o negli inceneritori». Comprare quindi un capo nuovo, portarlo poco o niente e poi, quando l’asta dell’armadio cede sotto il peso dei troppi abiti appesi, lavarsi la coscienza dicendo “faccio del bene, lo regalo” no, non è una grande idea. Un’app per ridurre l’impatto ambientale L’industria della moda, oltre ad essere tra le più sviluppate al mondo, è anche una delle più inquinanti e il percorso verso la sostenibilità che ha imboccato è lungo, per cui comprare indumenti più sostenibili e portarli a lungo contribuisce a ridurne l’impatto ambientale. Ward, che da anni lavora tra Vicenza e Milano per una moda più sostenibile, ha recentemente presentato un’applicazione basata su blockchain e gamification che aiuterà il consumatore in questo percorso. Si chiama Peas: Product enviromental accountability system. «Tramite blockchain - spiega - è possibile tracciare l’intera filiera di produzione del capo e un algoritmo calcola quanto, in base a quanto lo si indossa, ne si abbatte il costo ambientale. L’utente viene anche sfidato tramite giochi ad allungare la vita dell’indumento accumulando punti che daranno diritto a premi, come incentivi per l’acquisto di prodotti sostenibili o buoni pasto con prodotti a chilometro zero». Il progetto, costato 1,1 milioni, è stato finanziato tramite il bando Fashiontech della Regione Lombardia e realizzato da Wråd con il Politecnico di Milano, il provider di blockchain ITrueID, Wwg per il software, e Mood, partner storico di Wråd, che ha aperto la propria filiera di abbigliamento del lusso per la raccolta dei dati del progetto pilota sull’impatto ambientale e sociale della produzione. Un chip per aziende e consumatori Il calcolo si è basato su 13 diverse dimensioni (come emissioni di Co2, consumo di acqua, tossicità per l’uomo e l’ambiente, potenziale di acidificazione degli oceani) e su sette diversi livelli della filiera, dal seme di cotone alla consegna della felpa, elementi che insieme hanno definito l’Lca, la complessa e costosa analisi del ciclo di vita dell’intero capo. La felpa tipo presa in esame, pur essendo tra le più sostenibili e realizzata in cotone organico, ha comunque impiegato 409 litri d’acqua e prodotto emissioni di Co2 pari ad un viaggio in auto di 50 km. «In base al nostro progetto pilota, rispetto ad un capo nuovo mai indossato, l’impatto ambientale di quella felpa si riduce complessivamente della metà indossandola tre volte al mese per 4 mesi e lavandola due volte a 30°. In particolare si recupera il 92% dell’acqua utilizzata per produrre il capo e l’84% di Co2». Dopo due anni di lavoro il passo successivo del progetto sarà dotare i capi dei chip per dialogare con ‘Peas’. «Entro l’anno - sottolinea in chiusura Ward - sul mercato sarà presente il primo brand con uno o più prodotti con il chip integrato, ma l’obiettivo finale sarà vendere i chip con le informazioni sui più comuni capi di abbigliamento direttamente ai consumatori, in modo da incentivarli ad estendere il più possibile la vita dei capi che indossano».•.

Cinzia Zuccon

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