<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
FOND. STUDI UNIVERSITARI

Sostenibilità, l’obbligo è certificarla in azienda

La tavola rotonda ieri in Università con l’intervento di Armido Marana e Barbara Marzotto (a destra) FOTO ILARIA TONIOLO COLORFOTO ARTIGIANA
La tavola rotonda ieri in Università con l’intervento di Armido Marana e Barbara Marzotto (a destra) FOTO ILARIA TONIOLO COLORFOTO ARTIGIANA
La tavola rotonda ieri in Università con l’intervento di Armido Marana e Barbara Marzotto (a destra) FOTO ILARIA TONIOLO COLORFOTO ARTIGIANA
La tavola rotonda ieri in Università con l’intervento di Armido Marana e Barbara Marzotto (a destra) FOTO ILARIA TONIOLO COLORFOTO ARTIGIANA

Chi non intraprende e certifica nella sua azienda scelte gestionali di sostenibilità «rischierà di trovarsi fuori mercato nel giro di 3-5 anni». Va sempre dritto al punto Armido Marana, amministratore delegato di Ecozema e vicepresidente di Confindustria Vicenza con delega appunto alla sostenibilità. Ma sono le sue parole a fare la sintesi efficace di quanto emerso ieri in Università a Vicenza col convegno «Sostenibilità e internazionalizzazione. Coesistenza necessaria… o leva strategica?», organizzato dalla Fondazione studi universitari col presidente Mario Roberto Carraro e dal ramo berico dell’Università di Verona “Vicenza Univr hub” guidato dal prof. Andrea Beretta Zanoni. Transizione energetica Ci pensa Luciano Lavecchia di Banca d’Italia a spiegare quanto complicata sia, al di là degli slogan, la situazione del “passaggio all’energia rinnovabile”. Perché da una parte il moltiplicarsi di situazioni climatiche estreme (compresa la siccità) ha già prodotto danni per 446 miliardi di euro in Europa e soprattutto 92 mila morti, ed è dovuto alle emissioni di gas serra. Ma dall’altra parte il fabbisogno di energia è coperto ancora oggi all’80% da combustibili fossili: «L’Italia deve quadruplicare entro il 2030 il ricorso a fotovoltaico ed eolico», ma avrà anche problemi di forniture di materie prime e di supply chain per realizzare tutto questo. E in ogni caso, spiega Lavecchia, servono 4-5 mila miliardi di dollari per questo cambiamento mondiale: c’è da spingere sui “titoli di Stato green” che finanzino questi sforzi, e quindi occorrerà fissare uno standard internazionale che certifichi i veri “green bond”. Ma serve anche un ingente impiego di risorse dei privati. Indietro peraltro non si torna: già oggi i finanziatori valutano il rischio guardando anche se un’impresa ha stabilimenti vulnerabili a calamità «e il 10% delle Pmi risulta aver immobili esposti a rischi di alluvione o altro». Rischiano soprattutto i settori energia, agricoltura, commercio ed edilizia. Servono professionisti L’economia circolare è una necessità, come emerge dalla tavola rotonda con Marana e Barbara Mastrotto (Rino Mastrotto group), vicepresidente di Confindustria Vicenza, Ugo Resconi (Intesa Sanpaolo), Carlo Terrabujo (Confartigianato Vicenza), Alberto Turchetto (Sace), Maurizio Zordan (Apindustria) e i docenti universitari Silvia Cantele e Angelo Zago. L’economia circolare del resto è di casa da sempre in “Rino Mastrotto group”, visto che la concia è nata per dare uno sbocco industriale alle pelli di animali che sono gli scarti dell’industria alimentare. E sostenibilità e internazionalizzazione sono di sicuro «due necessità e due leve strategiche», sottolinea Barbara Mastrotto: il suo gruppo anzi ha già anticipato di anni le stesse normative sulla pubblicazione del bilancio di sostenibilità delle aziende. Con clienti di eccellenza in tutto il mondo, poi, l’azienda Mastrotto sa che nel mondo dei big delle auto qualità e prezzo della fornitura sono scontati, quindi la sostenibilità (benessere animale, deforestazione, diritti delle persone) è divenuta il terreno su cui si può differenziarsi dai concorrenti. E dal gotha della moda poi sono già richiesti l’audit sui rating Esg (ambiente, sociale, governance). Ma l’azienda da sola non ce la fa più, testimonia Mastrotto: serve l’università che formi “sustainability manager”, e serve un’alleanza di filiera come il progetto “concia a impatto zero” creato dal Distretto della pelle. Certificazioni E Marana, primo al mondo a produrre prodotti monouso riciclabili poi in compost, rimarca il passo avanti che le aziende vicentine devono fare: se anche sono già sensibili su impatto ambientale e sociali delle loro lavorazioni, ora devono mirare a certificare la “misura della sostenibilità” di tutti i comportamenti dell’impresa: per convincere le banche a continuare a dare credito e i clienti a continuare a comprare il prodotto. Soprattutto all’estero.•.

Piero Erle

Suggerimenti