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L'assemblea

Confindustria Vicenza, Dalla Vecchia: «Preoccupati per l'assenza di programmazione. Senza il lavoro e le imprese salta il sistema Italia»

La presidente di Confindustria Vicenza, Laura Dalla Vecchia (COLORFOTO)
La presidente di Confindustria Vicenza, Laura Dalla Vecchia (COLORFOTO)
Assemblea Confindustria Vicenza (COLORFOTO)

È il giorno dell'assemblea generale di Confindustria Vicenza agli stabilimenti Omc Etr Trenitalia di via Arsenale a Vicenza ovest. L'assise confindustriale si intitola "Lavoro Futuro Italia", con gli imprenditori berici che chiedono di mettere al centro della politica nazionale "la questione industriale".

In 1.300 all'assemblea di Confindustria Vicenza (COLORFOTO)
In 1.300 all'assemblea di Confindustria Vicenza (COLORFOTO)

Ad aprire i lavori la presidente di Confindustria Vicenza, Laura Dalla Vecchia. A confrontarsi sul palco dell'assemblea i presidenti delle Regioni Veneto ed Emilia-Romagna Luca Zaia e Stefano Bonaccini, il segretario nazionale di Azione Carlo Calenda, il segretario nazionale del Partito democratico Enrico Letta, il presidente del Copasir e senatore di Fratelli d'Italia Adolfo Urso. La moderazione è affidata al direttore de Il Foglio Claudio Cerasa, al direttore di Tva Vicenza Notizie Gian Marco Mancassola e al direttore de Il Giornale di Vicenza Marino Smiderle.

Laura Dalla Vecchia: «Il lavoro è l’unico strumento per dare un futuro alla nostra Italia»

La presidente di Confindustria Vicenza, Laura Dalla Vecchia, poco dopo le 17.20 ha preso la parola per la sua relazione: «Il titolo di questa assemblea lo sento molto mio: "Lavoro Futuro Italia". Sono parole bellissime, che sintetizzano quello che tutti i giorni costruiamo con passione e tenacia nelle imprese vicentine: il lavoro. Il lavoro è l’unico strumento per dare un futuro alla nostra Italia».

La presidente Dalla Vecchia in un passaggio ha ricordato anche Andrea Riello, l'imprenditore veronese tragicamente scomparso qualche giorno fa.

«L’impresa non è considerata, come dovrebbe, il vero motore di sviluppo di questa nazione.  Per questo siamo preoccupati».

«Non fa paura il freddo e i termosifone a 19 gradi, ci fa paura la mancanza di programmazione sul medio lungo termine di un Paese che ha scelto di rinunciare ad uno dei suoi uomini migliori (Draghi, ndr) e dimostra una certa distanza dal mondo delle imprese. Servono politiche efficaci per sostenere la manifattura».

«Non è che se domani finisse la guerra in Ucraina, i problemi che viviamo si dissolverebbero per magia - continua Dalla Vecchia. - È sbagliatissimo pensare che rischiamo di perdere il lavoro unicamente per i rincari delle bollette, che peraltro sono iniziati ben prima dell'invasione russa. Per noi è importante che chiunque sarà incaricato di governare tenga presente che servono politiche efficaci per sostenere la manifattura».

«Mai come adesso ci troviamo di fronte al rischio di perdere il lavoro. E non rischiano solo i lavoratori, rischia tutto il Paese. Senza lavoro, senza le imprese, non si mantiene il sistema Italia: servizi, sanità, scuola, perfino la politica saltano per aria».

«Affrontare il futuro dell’industria italiana è una responsabilità politica che qualcuno dovrebbe prendersi. Ma per farlo bisogna essere consapevoli di che cosa stiamo parlando, bisogna essere competenti. Dobbiamo valutare questo quando voteremo il prossimo 25 settembre».

«Il lavoro dipende direttamente dalla competitività del nostro sistema produttivo. Il valore aggiunto lo si fa nell’industria, quell'industria che da tempo viene snobbata».

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Per Dalla Vecchia anche il tema delle tante operazioni straordinarie di apertura del capitale e le offerte di acquisto di gruppi e fondi comuni alle imprese del territorio pone delle questioni spinose.
«Non mancano i gruppi o i fondi che credono nella bontà del prodotto fatto in Italia - ha aggiunto la presidente di Confindustria Vicenza - ma non è scontato che rimangano qui. Tanto più se l'Italia non è più un luogo dove è conveniente produrre. Senza politiche a sostegno della manifattura e della sua competitività il rischio di spoliazione aumenta: gli investitori potrebbero decidere di fare il pieno di marchi e know-how per poi emigrare altrove, depauperando il nostro tessuto sociale e imprenditoriale. E non è questione di cattiveria. È fare i conti con i numeri e con la realtà». 

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