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Edilizia sostenibile

Coppi fotovoltaici: il brevetto unico di una microazienda vicentina

Il fotovoltaico c’è, ma non si vede. Mimetizzato da un tetto di coppi da cui assorbe la sua linfa di luce. I coppi fotovoltaici li hanno testati a Pompei, ora li stanno chiedendo in tutta Italia e in Europa. E nascono a Camisano Vicentino nella microazienda della famiglia Quagliato. Giovanni Battista, oggi 72 anni (lontano cugino del più famoso scultore Nereo), con il pallino nel tempo libero di creare soluzioni innovative nel campo dell’illuminazione, quando si è affacciato al fotovoltaico ormai qualche anno fa si è trovato a rispondere alla fatidica domanda: quando si tratta di efficientamento energetico in particolare su edifici storici è meglio l’estetica o la funzionalità? E come integrare pannelli fotovoltaici inconcepibili su contesti da preservare, ma necessari per l'energia pulita e la transizione alla sostenibilità, oggi prima sfida del pianeta? Ha risposto con il «fotovoltaico invisibile» diventato poi brevetto, creato nella sua Dyaqua, che dal 2017 è stata allargata ai figli Matteo ed Elisa. Il «coppo fotovoltaico» si mostra come una semplice tegola di un tetto ma in realtà, grazie alla “speciale” superficie trasparente ai raggi solari, ricarica le celle fotovoltaiche all’interno, in collegamento con le altre tegole grazie a dei connettori. 

L’eccellenza. La Fondazione Symbola, presieduta da Ermete Realaci, considerata una vera e propria istituzione per promuovere le qualità italiane che migliorano il Paese, ha inserito la microimpresa vicentina nel suo ultimo Rapporto dedicato alle 100 aziende dell’edilizia sostenibile (tra cui un’altra realtà vicentina, Alpac di Schio, già nota «per aver reinventato il concetto di foro finestra rendendolo smart, intelligente e soprattutto green»). La scelta è ricaduta su Dyaqua per le sue tecnologie fotovoltaiche e di illuminazione led «capaci di nascondersi nel costruito e quindi perfette per la riqualificazione del patrimonio immobiliare storico-culturale, consentendo un efficientamento energetico senza modificare l’aspetto originale della struttura».

La tecnologia. I coppi - spiega in buona sostanza Elisa Quagliato, che organizza le attività commerciali per la società, mentre è il fratello a controllare la produzione e il padre ad amministrare e proseguire con la ricerca e sviluppo - sono realizzati attraverso un composto polimerico, non tossico e interamente riciclabile, pensato per favorire l’assorbimento dei fotoni. In questo modo si crea una superficie opaca a occhio umano ma trasparente per i raggi del sole, che consente alla luce di alimentare le celle interne di silicio monocristallino». Una rivoluzione i cui primi passi in realtà Quagliato senior aveva intrapreso già dal 2008 con le sue “pietre luminose”, grazie alle conoscenza nei settori dell’elettricità e delle materie plastiche: lampade led ultraresistenti, che all’apparenza sembrano elementi per l’edilizia, come sampietrini, mattoni o ciottoli. E diventate pure un brand. Poi il salto alla tegola fotovoltaica.

L’evoluzione «Il progetto Pompei è arrivato nel 2018: è stata la prima installazione che ha utilizzato i coppi “Invisible Solar”: l’impianto è stato collocato nel parco archeologico, presso la Domus dei Vettii, e ha fatto parte del più ampio progetto ”Smart archeological Park” promosso da Ministero dei Beni culturali e Cnr». Da lì un crescendo: «Ci chiamano da tutta Italia sia privati che pubblico, abbiamo forniture in corso in Croazia, Francia, Portogallo, Inghilterra». Potenza? «Per ottenere 1kWp servono circa 9 mq di coppi fotovoltaici». Il che equivale in buona sostanza a 134 coppi. Tutto un programma le prospettive della Dyaqua: «Siamo in tre, abbiamo al momento solo una piccola produzione artigianale limitata e ordini già fino al prossimo febbraio. Le richieste stanno crescendo soprattutto per gli incentivi legati ai crediti energetici e stiamo pensando ad un piano per sviluppare la produzione, assumere e soddisfare esigenze sempre maggiori. Abbiamo valutato anche finanziatori per una produzione in larga scala. Ma abbiamo deciso di proseguire da soli e fare i passi in modo graduale. Anche questa è sostenibilità»

Roberta Bassan

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