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Il Gruppo di Valdagno

Favrin racconta la nuova Marzotto: «La storia continua»

di Roberta Bassan
Il ceo Davide Favrin, dopo il riassetto azionario: «Qui la nostra vita professionale, garantiamo un futuro al gruppo»
Davide Favrin, amministratore delegato di Marzotto Group
Davide Favrin, amministratore delegato di Marzotto Group
Davide Favrin, amministratore delegato di Marzotto Group
Davide Favrin, amministratore delegato di Marzotto Group

Varcare l’ingresso della Marzotto a Valdagno è come entrare in una macchina del tempo con i motori accesi dal 1836. In quattro lunghi corridoi 188 anni di immagini alle pareti, l’ultimo quadro è ancora da aggiornare. Nell’ultimo mese e mezzo la svolta azionaria ha portato i Favrin al controllo, senza più un componente della dinastia nella stanza dei bottoni. «Prima di arrivare alle buste le abbiamo provate tutte, è stata una grande sofferenza umana. Questa operazione è stata fatta per garantire un futuro industriale all’azienda», spiega Davide Favrin, classe 1971, laurea in ingegneria gestionale, amministratore delegato del gruppo tessile dal 2018, dove il padre Antonio entra nel 2001 chiamato da Pietro Marzotto, e lui inizia a percorrere quei corridoi da lontano a partire da Filivivi nel 2007, poi Canapificio Nazionale, per approdare nel 2015 a capo del core business della lana, fino alla guida del gruppo. La direzione ora, con il riassetto azionario, va nel solco del piano che ha salvato l’azienda dalla tempesta del covid e grazie a cui Marzotto è tornata a veleggiare. 

La svolta

Bisogna partire da lì e da quella sintonia tra i Favrin e Andrea Donà Delle Rose che permette con identità di vedute di scollinare anche la pandemia: sodalizio innanzitutto di stima e poi di capitale, con il 40% delle quote di Trenora in capo alle rispettive casseforti di famiglia Faber Five e Manifatture Internazionali (20% residuale di Vittorio Marzotto). Un asse consolidato nel tempo e sul campo tra il figlio di Leonardo Delle Rose sposato in prime nozze con Italia Marzotto (figlia di Gaetano junior, il “rifondatore” del gruppo tessile) e i suoi manager padre e figlio che, nel 2014, aveva coinvolto nella compagine di Trenora che controlla con il 52,20% la Wizard, a cui fa capo il 100% della Marzotto, partecipata per l’ulteriore 28,77% da Manifatture Internazionali e dal 19,03% dalla Simon Fiduciaria degli eredi di Giannino Marzotto.

Ma quando viene a mancare nel 2022 Andrea Donà Delle Rose, l’orizzonte si fa incerto. «Con gli eredi abbiamo provato a trovare una quadra, ma c’erano visioni discordanti sulla nuova governance e su come immaginare il futuro dell’azienda. A quel punto si è deciso di andare alle buste, come prevede lo statuto davanti ad uno stallo decisionale». Ed è la storia dell’ultimo mese: Faber Five si aggiudica per 32 milioni («I concorrenti offrono una cifra significativamente più bassa») l’altro 40% di Manifatture Internazionali arrivando all’80% di Trenora e prendendo il controllo, tramite Wizard, di Marzotto. E poi, nei giorni scorsi, comprando il restante 20% da Vittorio Marzotto, che esercita il diritto di co-vendita a Faber Five, per 16 milioni, completando così l’operazione 100% di Trenora e pertanto maggioranza di Marzotto.

L’impegno

Quarantotto milioni «con fondi propri» per il controllo del gruppo tessile. Perché? Torna sui motivi Favrin: «Da parte nostra non c'era la volontà di rimanere a tutti i costi. C’era la preoccupazione per il futuro dell’azienda a cui siamo legati da tanti anni e in maniera ancora più forte dopo il 2019». La pandemia ha avuto un impatto fortissimo: perso il 40% del fatturato del core business e il 35% della Lab. Favrin parla da velista: «Abbiamo sofferto tanto per portare la barca fuori dalla tempesta e l'equipaggio si è legato alla barca. E per questo la decisione che abbiamo preso è stata caratterizzata da un grande trasporto umano e logiche di responsabilità». Usa parole eleganti: «Abbiamo preferito assicurare continuità piuttosto di lasciare una situazione che poteva non essere quella ottimale per l’azienda».

La direzione

E così ora prosegue quel cammino progettato per sollevare l'azienda dalla pandemia, che ha portato il gruppo tessile a chiudere l’esercizio 2022 come il migliore dal 2007 (anno confrontabile dopo lo scorporo dei brand della moda come Valentino) e avvicinarsi ai 400 milioni di ricavi nel 2023. «Il colpo era stato forte, ma abbiamo iniziato a ragionare su un core business caratterizzato da minori volumi e maggiore redditività». Una sfida che Marzotto intraprende puntando su fasce alte per ogni singolo brand, reingegnerizzando i processi produttivi, diversificando i prodotti, realizzando pure un’acquisizione importante per la causa, puntando sulla sostenibilità.

Risultati

«Dopo il “disastro” del 2020, la ripresa nell’ultimo trimestre del 2021, cavalcata nel 2022 grazie ad una struttura diventata più dinamica e snella che porta miglioramenti anche nel 2023». Per tutta la manifattura il 2024, dopo tanta crescita, è però complicato ma Favrin la vede lunga: «Abbiamo segnali interessanti per cui prevediamo una ripresa già verso fine anno. Ci fosse stata un’interruzione rispetto al progetto che si stava costruendo e che ha bisogno di un orizzonte temporale medio lungo, dal nostro punto di vista ci sarebbe stato un danno pesante per la Marzotto».

La direzione è intrapresa: differenziare i prodotti, consolidare i mercati, rafforzare la filiera. I Favrin controllano ora anche la quotata Ratti, l’azienda-gioiello dei tessuti di seta. Riporteranno in Borsa anche Marzotto? «Tutto sarà fatto nell’interesse della società, ora ci concentriamo sul business». La storia non finisce.

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