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Toh, Lenin a Capri

STORIA. Una meta dell'alta società europea ma anche dei rivoluzionari. E' nei soggiorni sull'isola del 1908 e 1910 che il leader dei bolscevichi prepara le sue trame. Era Gor'kij l'anfitrione e lì villeggiavano i Krupp, futuri finanziatori
Lenin a Capri in una rara raffigurazione dell'agiografia sovietica
Lenin a Capri in una rara raffigurazione dell'agiografia sovietica
Lenin a Capri in una rara raffigurazione dell'agiografia sovietica
Lenin a Capri in una rara raffigurazione dell'agiografia sovietica

Vista grandiosa sui Faraglioni, ambienti lussuosi, compagnia d'élite viziata dalla servitù, partite a scacchi e ottimo cibo. Fu l'ambiente esclusivo di Capri, con i nomi altisonanti delle monarchie europee e i condottieri del primo capitalismo, a ospitare paradossalmente la genesi della rivoluzione bolscevica. Un luogo di villeggiatura per le élites cosmopolite, non le mura annerite di una fumosa officina. Gennaro Sangiuliano nel suo Scacco allo zar. 1908-1910. Lenin a Capri: genesi della Rivoluzione (Mondadori, 154 pagine, 18,50 euro) restituisce spessore storico ai soggiorni di Lenin nell'Isola Azzurra, proponendo una nuova geografia alle vicende turbinose della rivoluzione russa. Dei due momenti capresi di Lenin (1908-1910) si sa poco. La storiografia ufficiale sovietica cancellò quasi del tutto questo periodo dalla vita del padre della rivoluzione, perché poco consono all'iconografia dell'immaginario comunista, Ma anche perché a Capri avvennero fatti decisivi per le sorti del comunismo. Lenin mise piede nella Perla del Mediterraneo per la prima volta nel 1908, accompagnato dall'amante Inessa Armand, ufficialmente per un periodo di riposo. Sull'isola c'era già una folta colonia di intellettuali russi, guidata dallo scrittore Maksim Gor'kij che li ospitò nella sua meravigliosa villa con vista sui Faraglioni. In realtà, a Capri c'erano questioni cruciali che dovevano essere affrontate a partire dalle dispute ideologiche e politiche con Aleksandr Bogdanov, l'intellettuale coltissimo che minacciava la leadership di Lenin nel partito. Fino alla spinosa questione economica legata alla divisione, tra le varie fazioni, dei proventi delle rapine organizzate da Stalin, somme ingenti per garantire agiatezza ai capi bolscevichi e controllo politico del partito. Ma per Sangiuliano c'è di più. A Capri soggiornava spesso l'aristocrazia militare tedesca portata a far vacanze sull'isola dai Krupp, la famiglia di industriali dell'acciaio e delle armi. Potrebbero aver preso il via da qui, quei contatti fra tedeschi e bolscevichi che sfociarono nei finanziamenti dello stato maggiore prussiano a Lenin e, soprattutto, nell'operazione del trasferimento segreto in Russia con un treno piombato per far scoccare la rivoluzione. «Non è un romanzo storico», dice Gennaro Sangiuliano, «ma la fotografia di un gruppo di personaggi, molti dei quali destinati a essere protagonisti di interessi, di idee, di passioni che si intrecciano sulla splendida isola di Capri, e i cui effetti si dipaneranno in un ambito tragico e globale». LA RICOSTRUZIONE storica di Sangiuliano si basa su fonti documentali inedite, come i rapporti che la polizia italiana inviava a Giovanni Giolitti, presidente del Consiglio dell'epoca, e soprattutto i fascicoli dei servizi segreti inglesi, informati e preoccupati delle azioni del capo bolscevico in Italia. «La vita caprese di Lenin», prosegue l'autore, «è lo spaccato di una élite rivoluzionaria aristocratica non dissimile negli stili di vita, ma anche nella sostanza, dal potere che lavorava per abbattere. Il capo bolscevico prepara in un clima idilliaco le mosse che metteranno in scacco lo zar, quel grande fatto, tra i maggiori del secolo scorso, che produrrà effetti a catena e una grande tragedia». Tra le pieghe della storia, Sangiuliano trova anche lo spazio per tracciare il profilo dell'uomo che per quasi un secolo è stato un mito globale. «Era un uomo di straordinaria intelligenza e grande determinazione. Al pari dei grandi rivoluzionari-condottieri a capo di un'ideologia, come Gengis Khan o Napoleone, era però anche un cinico. La rivoluzione aveva un obiettivo da perseguire e non c'era spazio per concessioni umanitarie». Lenin è l'uomo dalla «crudeltà mongolica», come lo definisce Bertrand Russell, il dittatore che creerà, a un mese dalla ascesa al potere, nel 1917, la famigerata Ceka (la polizia politica), gettando così le basi dei gulag, i campi di concentramento destinati alla rieducazione di massa, in realtà dei luoghi di morte. «Lenin era un uomo senza mediazioni», prosegue Sangiuliano. «Avversò duramente il “comunitarismo umanitario” di Gor'kij, la variante del marxismo a cui lavorava con Bogdanov e gli altri esponenti del gruppo di Capri, che per questo organizzarono una loro scuola ideologica. Si trattava di una visione meno dura del marxismo classico, più umanitaria, nella quale la lotta di classe doveva cedere il passo a una soluzione non violenta della dialettica tra i ceti. Per Lenin, un'eresia da contrastare con ogni mezzo». La rivoluzione non fa sconti.

Silvia Bernardi

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