<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">

TECNOLOGIA IDILLIO FINITO

La copertina del saggio edito da Laterza Massimo Gaggi
La copertina del saggio edito da Laterza Massimo Gaggi
La copertina del saggio edito da Laterza Massimo Gaggi
La copertina del saggio edito da Laterza Massimo Gaggi

In principio sembrava una rivoluzione. Dal basso. Per tutti. Affascinante. Luccicante come tutte le avanguardie tecnologiche che arrivano dalla California, versante Silicon Valley. La vita a colori, declinata sugli schermi avveniristici inventati a colpi di clic da Steve Jobs o perlustrata nelle ricerche onniscienti dei profeti di Google, Sergey Brin e Larry Page, o comprata dall’altra parte dell’Oceano con la stessa facilità e rapidità con cui si comprano le mele dal fruttivendolo sotto casa grazie ad Amazon Prime di Jeff Bezos. Ma dopo la sbornia di entusiasmo e di adesione fideistica dei navigatori di mezzo mondo, Massimo Gaggi spazza via i lustrini e sbatte sotto il nostro naso di drogati di smartphone il fatto incontrovertibile che i geni della internet economy stanno diventando, o sono già diventati, come i “robber barons”, i padroni del vapore di un secolo fa, gli alfieri del capitalismo che oggi chiameremmo selvaggio, i Rockfeller, i Carnegie, i Vanderbilt. In “Homo Premium, come la tecnologia ci divide” (Editori Laterza, pagg. 159 ), Gaggi, corrispondente dagli Stati Uniti del Corriere della sera, ci mette in guardia: stiamo sottovalutando “l’impatto che la rivoluzione digitale sta avendo non solo sul lavoro, ma anche sui rapporti sociali, sulla politica e, addirittura, sulla salute dell’uomo”. L’innocenza, e aggiungerei il fascino, della Silicon Valley, finiscono qua. D’ora in avanti dovremo fare i conti con l’avanzata inarrestabile della quarta rivoluzione industriale, stavolta basata sull’intelligenza artificiale che pensavamo dovesse rimanere confinata nei film di fantascienza del secolo scorso. Il libro di Gaggi non è certo un trattato luddista che auspica la resistenza alla tecnologia. Tutt’altro: opporsi al nuovo che avanza e che potrà migliorare, e in parte lo ha già fatto, l’esistenza di tutti noi, tra l’altro allungandola, sarebbe stupido. Ma sarebbe stupido anche negare che questa rivoluzione stile vecchio capitalismo, ma contrabbandata all’inizio come libertaria e inclusiva, sta facendo più vittime del previsto. E sta dividendo l’umanità in due: da una parte chi ha la preparazione, di solito ingegneristica, per saltare in groppa al cavallo del cambiamento radicale; dall’altro, ed è purtroppo la maggioranza, chi è costretto a scendere dallo scompartimento del ceto medio per retrocedere a eseguire umili lavori di complemento rispetto ai detentori del verbo. Gli esempi di questa avanzata dei robot che prendono il posto dei lavoratori sono moltissimi. I camionisti rischiano il posto perché Uber e Google sono già avanti negli studi dei veicoli senza conducente; gli albergatori sono già stati colpiti dalla disinvoltura di Airbnb che declina l’economia della condivisione in senso globale sfruttando i proprietari di abitazioni, così come Uber utilizza chi ha una macchina a disposizione. L’effetto paradossale, considerati i proclami degli albori, è che nella Silicon Valley adesso sono spuntati i sindacati. Nella terra in cui “il lavoratore indipendente non ha diritti ma viene esaltato come un vero imprenditore, il cuore pulsante del capitalismo”. Chi è fuori è fuori e chi è dentro è dentro. La frattura sociale si sta allargando. E l’intelligenza artificiale non pare intenzionata a fare prigionieri. Certo, questo discorso è già stato fatto in occasione di altre rivoluzioni industriali. Ma adesso, sostiene Gaggi, la questione è diversa e più preoccupante. Perché i robot si prendono anche posti di lavoro che sembravano patrimonio esclusivo degli umani: è l’intelligenza artificiale, bellezza. Che ruba il posto ai medici grazie a diagnosi costruite elaborando un numero mostruoso di dati, ai giudici che possono essere sostituiti da una macchina che calcola gli anni di condanna da affibbiare all’imputato elaborando in modo preciso la giurisprudenza, ai giornalisti, ai sarti della moda, la branca creativa per eccellenza. E perfino ai preti, visto che “esistono app Confession che consentono di fare da soli un esame di coscienza personalizzato e di riconoscere i propri peccati alla luce della violazione dei Dieci Comandamenti”. Per non parlare dell’influenza sulla politica, in un duplice modo: da un lato usando le blockchain come lasciapassare di democrazia, dall’altro scatenando la rabbia dei tanti, troppi esclusi dall’olimpo dell’Homo premium, quello che “trovandosi sulla sponda migliore del fiume in un mondo di enormi e crescenti disuguaglianze di reddito e di conoscenza, non solo è più ricco e istruito, ma gode di salute migliore, vive più a lungo e, magari, riesce anche a ottenere capacità intellettive e fisiche aumentate grazie alle manipolazioni genetiche o alle protesi messe a disposizione dalle tecnologie informatiche più avanzate”. Come salvarsi da questo stravolgimento di valori? Su cosa puntare per non lasciarsi battere dai robot? C’è un fattore umano, ricorda Gaggi, che al momento non ha ancora trovato un succedaneo efficace: l’empatia, che per Geoff Colvin, editorialista di Fortune, è lo skill critico del ventunesimo secolo. Auguri a tutti noi. L’autore presenta il saggio domani alle 18 nella piazzetta di Libraccio+Galla a Porta Castello a Vicenza; e alle 20.30 a Palazzo Festari, con Guanxinet, corso Italia a Valdagno. •

Marino Smiderle

Suggerimenti