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L'intervista

Stuart Turton: «Io gioco con i miei lettori, ecco perché scrivo gialli»

Il suo primo romanzo, Le sette morti di Evelyn Hardcastle (Neri Pozza, 2019) è diventato subito un best-seller, definito dal Financial Times «qualcosa in cui il lettore non si è mai imbattuto fino ad ora», un romanzo geniale dove sembrano incontrarsi i gialli di Agatha Christie e le atmosfere inquietanti della serie Black Mirror. 
Il diavolo e l’acqua scura (Neri Pozza, 2020) è una diabolica saga ambientata nel mare, con un vascello in preda alla tempesta colpito da una maledizione sinistra che sembra volerne impedire il viaggio. Stuart Turton, giornalista, ha fatto il libraio a Darwin, insegnato inglese a Shanghai, scritto articoli di viaggio a Dubai, collaborato per una testata tecnologica di Londra. Oggi è uno dei più acclamati scrittori inglesi. E le storie che ha raccontato, con sua grande soddisfazione, si preparano a diventare avventure esperienziali immersive.
Lo abbiamo raggiunto al Salone del Libro di Torino. Ecco cosa ci ha raccontato.

Stuart Turton, Le sette morti di Evelyn Hadcastle è diventato realtà, a Milano, quando fu allestita l’escape room, la stanza della fuga, in cui un gruppo di persone viene chiuso all’interno di uno spazio arredato sul tema del libro e per uscire deve risolvere prove ed enigmi. Il diavolo e l’acqua scura, invece, è diventato un gioco in scatola. Cosa ne pensa di questi sviluppi inaspettati?
Non sono mai stato in un’escape room, e amo piuttosto i videogiochi. Certo, è una grandissima soddisfazione per me vedere che i miei libri diventano una fonte di ispirazione. Ci sono persone che hanno inventato giochi di ruolo, altri si travestono per dare vita ai miei personaggi. Le sette morti si è trasformato anche in una serie Netflix. Però in un certo senso non mi stupisco. Io scrivo i miei libri immaginando di giocare con i miei lettori: per questo vedo il gioco come un’evoluzione naturale. La gente ha voglia di giocare, e i libri sono il mio strumento per creare leggerezza. Ci sono autori che scrivono saggi, che affrontano i temi spinosi del nostro tempo. Oggi, dopo aver fatto diversi lavori molto più a contatto con la tecnologia e che mi hanno permesso di viaggiare, io ho scelto di scrivere per intrattenere, per consentire a chi mi legge di sfuggire almeno per un po’ di tempo ai pensieri della vita quotidiana: il covid, il lavoro, la famiglia, i bambini che piangono. Ci si rifugia in un romanzo e ci si trova catapultati in un altro mondo. 

La sua, in effetti, è una scrittura giocosa, anche se vanno in scena crimini e ci sono assassini. 
La giocosità c’è a prescindere dal tema che scelgo. Il segreto? Amo da matti il mio lavoro, e quando fai ciò che ami hai una maggiore leggerezza nel tuo atteggiamento. E comunque, visto che mi trovo a dover competere con un sacco di cose divertenti, da Netflix allo sport, sono costretto a inventare stratagemmi per trattenere i miei lettori e invogliarli a continuare a sfogliare le pagine. 

Ne Il diavolo e l’acqua scura ci sono tempeste, maledizioni, stregonerie. Ma lei crede a queste cose?
Mi dispiace deluderla, ma sappia che sono la persona più noiosa sulla faccia della Terra. Non credo nei fantasmi, non credo in Dio, credo solo nella scienza. Ecco perché la scrittura è anche una forma di salvezza per me: scrivere è un modo per sfuggire dalla mia stessa mente, e cercare di vedere il mondo attraverso la prospettiva di chi invece crede a questo. 

E che rapporto ha con i suoi personaggi?
Ad alcuni di loro mi affeziono. Nella scrittura delle Sette morti ho dato una disciplina ai miei personaggi. Insomma, era tutto pianificato, se li avessi lasciati seguire le loro strade l’impalcatura della trama sarebbe crollata. Con Il diavolo e l’acqua scura è andata in modo diverso, e mi sono sorpreso io stesso. Penso a quello che è successo a Sara, per esempio: quando ho iniziato a progettare e pianificare il libro non aveva molte cose da dire, ma poi all’improvviso è emersa, ha trovato addirittura un volto nella mia testa. Ho avuto una splendida relazione sentimentale con lei. So che a dire questo sembro uno psicopatico, ma è andata proprio così! C’è Arent, poi. Ero partito con l’idea che tutto si sarebbe incentrato su di lui, ma mi ha fatto capire che non voleva essere il protagonista. Lui era nato come spalla, e così si è fatto indietro per lasciare spazio a Sara. È incredibile, ripensandoci oggi, vedere quanto poco io stesso sapessi dei miei personaggi.

Cosa fa per rilassarsi? 
Attualmente per distrarmi faccio la stessa cosa che faccio per non distrarmi: scrivo. Ma appena potrò mi programmerò una bella e lunga vacanza, e farò anche dello sport. Qualcosa che mi impegni e mi stanchi fisicamente, insomma. 

Lei è laureato in filosofia. Questi studi classici hanno contribuito a modellare la sua visione del mondo?
C’è una sorta di circolarità nel mio rapporto con la filosofia. Ho iniziato a studiarla perché avevo già tante domande, così come ho studiato la religione. In realtà si impara semplicemente a porsi le domande in modo migliore, e porsi domande è un’abilità preziosa che si può rivelare molto utile a ognuno di noi, ma specialmente a uno scrittore. Di sicuro sono stati studi interessanti. Ma non mi hanno dato risposte. Anzi, visto che anche lei si è cimentata con gli studi classici, se per caso qualche risposta l’ha trovata potrebbe dirla anche a me?

Silvia Allegri

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