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L'intervista della domenica

Scotolati: «Il mio brand nacque sui muri 40 anni fa»

«Dal mio pennarello vennero fuori 200 “vie Scotolati”. Il Comune spese 30 milioni per “Ghibli”, il mezzo che cancellava le scritte»
Gabriele Padovan è il vero nome di Scotolati: autore dissacrante, burlesco e provocatorio di Vicenza. Metà giullare e metà goliarda
Gabriele Padovan è il vero nome di Scotolati: autore dissacrante, burlesco e provocatorio di Vicenza. Metà giullare e metà goliarda
Gabriele Padovan è il vero nome di Scotolati: autore dissacrante, burlesco e provocatorio di Vicenza. Metà giullare e metà goliarda
Gabriele Padovan è il vero nome di Scotolati: autore dissacrante, burlesco e provocatorio di Vicenza. Metà giullare e metà goliarda

Scotolati è uno pseudonimo. Con questo brand, l’Anonimo Vicentino, nel 1983, di notte furtivamente, uscendo sempre dopo le 3, con un pennarello creava sui muri della città una fantasiosa toponomastica. I vicentini, svegliandosi, scoprirono 200 strade che si chiamavano tutte “Via G. Scotolati”. Identiche le date di nascita e morte dello sconosciuto. Cambiavano solo professioni e mestieri. Neologismi improbabili ma originali. 

Nasceva l’era-Scotolati, personaggio senza autore, bizzarro, imprevedibile, irrequieto, dissacrante, irridente, irriverente, istrionico, burlesco, provocatorio, metà giullare e metà goliarda, scheggia impazzita nel tran tran quieto e conformistico della Vicenza di allora, quasi una maschera della commedia dell’arte se non fosse che dietro c’erano e ci sono lutti mai elaborati, uomo tormentato, sensibile, un visionario, l’anima da artista, magari della Scapigliatura, che sa precorrere i tempi in una città che all’epoca era non poco bigotta, diffidente, poco incline all’ironia, alla celia.

E per mesi, dopo l’apparizione surreale, fu caccia grossa a questa ombra misteriosa dei graffiti che ritornava per scomparire lasciando la sua firma di Zorro, la frase liberatoria fra avventura, gioco, trasgressione e divertissement. Vennero i calendari, ben 45, i murales, i ritratti, le caricature, i travestimenti. Venne la “grande rivoluzione coloristica” del 1988: la città ricoperta di pitture astratte. Vennero gli editti, le locandine false, le indicazioni urbane in 17 lingue, finché non fu fermato con multe da 11 milioni di lire poi amnistiate, un processo per affissioni clandestine e il pm Tonino De Silvestri che, invece dell’arringa accusatoria, si sciolse in una risata, e lo dichiarò innocente. 

La leggenda continua. Nell’epoca del metaverso e dell’intelligenza artificiale Scotolati non fa più scalpore ma non si è imborghesito. La sua casa in via San Biagio, al ventesimo trasloco, resta un tempio consacrato alla produzione grafica di questo talentuoso amante del segno e della parola, fra pareti invase da una montagna di carte che è un po’ la rassegna di 40 anni di storia cittadina, fra nomi e volti che in gran parte non ci sono più. Gabriele Padovan, questo il suo nome autentico, non è il patetico fantasma di stagioni che non tornano, bensì una sorta di crepuscolare cavaliere errante, Don Chisciotte o Sancho Panza, bohemien solitario che attraversa il tempo senza tradire se stesso. 

La sua età sfugge. Quanti anni ha? 
Sono nato il 22 marzo. 

Di quale anno?

Posso mentire? Potrei essere nato nel 1958... 

Allora, preferisce che la chiamino Gabriele Padovan o Scotolati? 
Gabriele. Mi commuovo a sentirlo. 

Quando nasce Scotolati? 
Quarant’anni fa. Sul Giornale di Vicenza uscì un articolo con il titolo "Scrivi, ragazzo, scrivi". Giulio Ardinghi aveva letto due mie frasi sui muri del municipio. Una era: «È troppo tempo che non scrivo più niente, ora basta». La seconda: «Polizia, polizia, mezza suocera, mezza zia». Era incuriosito, e invocò: «Fatti conoscere». 

Ma perché aveva cominciato? 
Perché il mio rapporto con la città era controverso. 

Cioè? 
Perché nella città del silenzio come si può parlare? Chiamiamolo tentativo sociale. 

Torniamo all’articolo. 
Ho temuto che fosse una trappola, ma non ho resistito. Sono andato al Giornale, e ho detto: sono io. Nacque una collaborazione. Mi affidarono una rubrica che usciva la domenica, “Fuoriluogo”, sulla storia delle vie cittadine fra realtà, ironia, esagerazioni. Mi firmavo Fabioco. Un’idea del caporedattore di allora, Gianmauro Anni. 

Ma Scotolati quando entra in scena? 
Proprio quell’anno. Era l’estate dell’83. È un cognome che esiste veramente soprattutto nel Lazio. Qui a Vicenza ce n’era uno solo. Si chiamava Giuseppe Scotolati. Era di Caprarola, provincia di Viterbo, ed era venuto a Vicenza per prendere il diploma di sub all’istituto Rossi. 

E il passaggio di cognome? 
Lui abitava in via San Pietro dove il Comune stava facendo dei lavori. Io mi trovai dinanzi a un segnale di senso unico ricoperto di carta bianca. Allora mi è venuta l’idea e ho pensato di scrivervi sopra: via G. Scotolati. Mi ringraziò per avergli dedicato una via. 

Poi continuò... 
Cartelli stradali ricoperti di bianco ce n’erano tanti. Dal mio pennarello vennero fuori 200 vie Scotolati con date sempre uguali di nascita e di morte: 1852-1908. Scotolati, quello vero, era nato nel 1952. Sarebbe potuto venire al mondo un secolo prima e morire nel terremoto di Messina. Le date nacquero così. E sotto, la professione: frognatore patatista, tontista sgrumatore, quaresimista lamentatore... Inventai 400 termini. 

Ma i vigili si mossero? 
No. Fino a quando Gaetano Fiorentino, senza sapere che io ero la stessa persona che scriveva sul Giornale di Vicenza, fece uscire un articolo titolato. «Cercasi diluente per le vie G. Scotolati». 

Cosa successe? 
Il Comune acquistò un mezzo che si chiamava “Ghibli” costato 30 milioni di lire per cancellare le scritte. Solo che il getto di questa macchina era così potente che sgretolava i muri. Ogni volta che la mettevano in azione si formava una piccola folla, e tra i curiosi c’ero sempre io. Nessuno mi conosceva. Fu Stefano Girlanda, alla fine del 1983, a rivelare la mia identità. 

E diventò famoso... 
Disegnai le mie prime cartoline, 10 soggetti in bianco e nero di Vicenza corredate sul retro da una frase ironica come questa: Le logge della Basilica bicolore e i contorni di piazza della città del grigiore. Oppure: Il Retrone stagnante con gli scarichi della città benestante. Me le commissionò un editore. Piacquero. Allora feci il giro delle tabaccherie che le acquistarono. Ne vennero stampate 30 mila. 

Seguirono i calendari. 
Il primo uscì nel 1986. Al posto dei nomi dei santi mettevo quelli dei politici e dei personaggi del tempo. Eccone alcuni del 1990: Luigi Poletto stinco di gamba, Ennio Tosetto bimbo da letto, Mario Pavan pupo a molla, Sergio Carta cianciato cornacchiere, Claudio Cegalin terziario dei serviti, Gianni Pandolfo stradato frizzoliere, Mario Giulianati sbracciatore merlettato... Arrivai fino a 15 mila copie. Cartoline e calendari furono i miei successi editoriali. Inaspettati. 

Il suo graffito preferito? 
Quello all’angolo fra via Gazzolle e piazza delle Erbe. Cominciava così: «È arrivato l’88 con i colori del salotto». Firmato Elena Tilipska, cognome storpiato di una donna della Bielorussia che conoscevo. Ci misi 4 ore. Era gennaio. Faceva freddo. Il rischio era maggiore perché il palazzo era presidiato dalla polizia. Ma ci tenevo. Ad ogni rumore mi nascondevo. 

Qualcuno nelle sue incursioni notturne l’ha mai scoperta? 
Sì una volta. Ero con una ragazza. Sul muro appena verniciato di un negozio di corso Palladio scrissi: «Caro muro nuovo vogliamo finalmente parlarci una buona volta?». Spuntarono all’improvviso i proprietari. Io e la ragazza ci abbracciammo per nascondere la scritta ma loro se ne accorsero. La signora lanciò un grido. Giungemmo a un compromesso. Datemi mezz’ora, dissi, e torno a ripulire. 

L’episodio più eclatante? 
Quando di notte il 25 luglio del 1984 inondai la città con 50 false locandine del Giornale di Vicenza che sparavano una notizia straordinaria: «Drammatica riunione notturna al Consiglio comunale. Deposto Corazzin. Mariano Galla è il nuovo sindaco». I vicentini corsero alle edicole. Tutte le copie andarono esaurite. Fu uno scompiglio. La gente sfogliava il giornale ma non trovava nulla. Molti chiesero il rimborso agli edicolanti. Il direttore Mino Allione andò su tutte le furie. Mi mandò a dire di non farmi più vedere. 

Altre pasquinate? 
Presi di mira il sindaco di Gallio Pino Rossi. Lo trasformai nell’Orso Dino dell’Altopiano Lo feci protagonista di 12 manifesti fra cui un’edizione fasulla del Corriere della Sera con tanto di foto. Fece clamore un titolo: «Scandalo a Gallio, indagato il sindaco Pino Rossi. Ritrovate dalla polizia locale unghie, barbe ed orme finte usate dal primo cittadino». E nel sommario: «L'azzannatore confessa: sì, è vero, l'orso Dino sono io». Un giorno mi presentai in municipio travestito da finanziere. Non c’era. Si precipitò in un lampo. Lo accusai di aver fatto uscire le locandine ad arte per farsi pubblicità. Alla fine capì che era uno scherzo ma non mi aggredì. Disse: tu ti sei divertito. Anche noi. 

I suoi murales del 1988 sono scomparsi... 
Sì, erano troppi, e il sindaco Corazzin, obbligato dalle proteste, emanò un’ordinanza con cui, senza fare il mio nome, disponeva che i proprietari degli stabili cancellassero a loro spese le mie pitture. È rimasta solo quella di Araldo Geremia, il salumiere di contra’ Do Rode. Lo ha voluto la figlia. E’ sulla sua casa. Io mi ricordo la sua data di nascita, il 22 febbraio, e ogni anno quel giorno torno a vedere se c’è da fare qualche ritocco. 

Hai disegnato Vicenza centinaia di volte, ma anche Seul... 
Sì, sono stato in Corea 9 anni fa. 

Come mai? 
Nel 1988 ho avuto come complice un coreano, Choi Wook. Abitava di fronte a me in via Trissino e studiava architettura a Venezia. Mi vedeva uscire tutte le notti, voleva capire perché. Lo portai con me, e si mise a scrivere anche lui nella sua lingua, in giapponese. È tornato nel 2013 per trovarmi. Nel frattempo era diventato un archistar. E per ringraziarmi mi ha invitato a Seul. Mi spedì il biglietto aereo. All’aeroporto mi diede la sua carta di credito. Mi ospitò per 6 mesi. E mi piazzò 2 fotografi al seguito per pubblicare un libro su di me. 

Il sindaco che più ha apprezzato? 
Corazzin. Mi ha mostrato benevolenza e tolleranza. La mia era una satira con il sorriso. 

Sei stato innamorato? 
Una decina di volte. A una, Rita, la «sublime carne dei Berici», nel 1986 dedicai un murale. Un’altra era una poetessa. Il più grande amore è stata Francesca. Oggi abita a Milano. 

Con Scotolati, a distanza di 40 anni, che rapporto ha? Lo ha mai rinnegato? 
Quello vero sì. Era un bugiardo. Quello inventato no. È la mia seconda natura e non posso non essergli grato. 

Per il futuro? 
Ancora cartoline. Ne ho fatte sette con cinquanta scorci della città. È la mia ultima produzione. Farò di nuovo il giro delle tabaccherie. 

 

Franco Pepe

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