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«Ora l’egemonia della Germania ha i mesi contati»

La sede del Parlamento a Berlino. Il «paradiso» tedesco sta finendo?
La sede del Parlamento a Berlino. Il «paradiso» tedesco sta finendo?
La sede del Parlamento a Berlino. Il «paradiso» tedesco sta finendo?
La sede del Parlamento a Berlino. Il «paradiso» tedesco sta finendo?

Potrebbe non durare a lungo. L’egemonia economica e politica della Germania sull’Europa potrebbe avere i mesi contati. La previsione è stata formulata da Lucio Caracciolo direttore di Limes in una serata organizzata a Verona, dove l’esperto di geopolitica ha parlato della «forte crisi d’identità tedesca che si materializza con il tramonto della cancelliera Angela Merkel, il cui governo finirà probabilmente già quest’anno». Non è solo questione di leadership. «C’è la tensione provocata dai flussi migratori che hanno reso la Germania uno dei paesi europei più multiculturali, c’è il processo di disintegrazione europea ma c’è anche il pessimo rapporto con gli Stati Uniti, esploso con l’era Trump», ha detto il direttore di Limes. Per Caracciolo tutti questi fattori segneranno la fine di uno stato quasi paradisiaco per la Germania, ricordando la lunga fase in cui questo paese «ha vissuto al di fuori della storia, in una condizione di grande benessere, relativa tranquillità sociale e notevole stabilità politica». E che cosa potrà succedere se questi fattori verranno meno? Già oggi alcune avvisaglie dimostrano come i tedeschi, consapevoli che la loro età d’oro volge al tramonto, non abbiano strategie efficaci per l’immediato futuro. Sicuramente la Germania sta iniziando a pensare che dovrà organizzarsi autonomamente per difendere la propria sicurezza dopo la conquista di un primato economico europeo che non sarà eterno. In questo quadro l’establishment germanico si fida sempre meno degli americani, teme i russi, diffida dai cinesi di cui inizia a preoccuparsi come possibili competitors nell’apparato industriale e tecnologico. Tutto questo apre scenari inquietanti e soprattutto fino a ieri inimmaginabili. E comunque importanti per il nostro Paese. Caracciolo ha ricordato l’improvvida battuta che Helmut Kohl si lasciò sfuggire con Lech Walesa, la sera del 9 novembre 1989: «Prima che cada il muro di Berlino, cresceranno i cactus sulle nostre tombe». Quella sera il muro crollò. Aveva diviso in due la città di Berlino per 28 anni, dal 13 agosto del 1961. Nel giro di un anno «l’annessione» della Germania dell’Est, come l’ha definita Caracciolo, fu completata. Ma la storia della Germania è fatta di unificazioni e divisioni. Basterebbe ricordare che lo stato tedesco nasce all’indomani della sconfitta inferta dai prussiani a Napoleone III a Sedan, quando Guglielmo, re di Prussia, venne incoronato nella sala degli specchi a Versailles come Guglielmo I imperatore di Germania. Il ritorno del Reich è quindi il sogno ricorrente che i grandi sovrani tedeschi, da Barbarossa a Federico II, avevano tentato di realizzare nell’Europa medievale. Ma lo sviluppo germanico non ha poggiato sull’unificazione in uno stato-nazione, bensì sull’unione di land diversi. Perchè la popolazione è sempre stata caratterizzata da profonde differenze sul piano delle tradizioni, della cultura, delle abitudini, persino della religione. Nel nord prevalgono i luterani, nel sud i cattolici. E se nella Germania renana e meridionale fiorivano città, mercati e aree industriali, nella Prussia orientale c’erano vaste campagne con pochi centri. Nonostante le marcate differenze, c’era comunque l’idea di un’appartenenza pre-storica di tipo etnico e linguistico. «Essere Germania» significa anche entrare in contrasto con gli Usa, soprattutto nell’era Trump, che teme una possibile intesa fra Germania, Russia e Cina. Del resto le relazioni fra Russia e Germania sono già di interdipendenza, per esempio, sul piano energetico con il raddoppio del gasdotto baltico e, ha aggiunto Caracciolo, «potranno cambiare i leader politici, ma i tubi restano». Ha poi ricordato come si stia attraversando una fase di disintegrazione dello spazio europeo, dove i singoli paesi hanno interessi prevalentemente identitari. «Più che di sovranismi sarebbe opportuno parlare di nazionalismi talora anche virulenti», dice il geopolitico precisando che, forse, a tenerci insieme, «è stata l’idea di un nemico comune, la Russia, ma oggi i nuovi legami di interesse economico vanno a modificare molti equilibri». Quale soluzione nel caos di riferimenti culturali e politici? «Ricostruire dentro di noi un senso di responsabilità attraverso un dibattito nazionale». •

Danilo Castellarin

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