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MARZOTTO E LA SUA CITTÀ

L’istituto tecnico industriale e tessile costruito attorno agli Anni Trenta a Valdagno Umberto II di Savoia in visita ufficiale alla città sociale, 1938
L’istituto tecnico industriale e tessile costruito attorno agli Anni Trenta a Valdagno Umberto II di Savoia in visita ufficiale alla città sociale, 1938
L’istituto tecnico industriale e tessile costruito attorno agli Anni Trenta a Valdagno Umberto II di Savoia in visita ufficiale alla città sociale, 1938
L’istituto tecnico industriale e tessile costruito attorno agli Anni Trenta a Valdagno Umberto II di Savoia in visita ufficiale alla città sociale, 1938

La città sociale di Valdagno non diventerà patrimonio Unesco come è accaduto ad Ivrea ma Monumento nazionale forse sì. «Ci stavamo pensando da tempo - spiega l’assessore alla cultura del Comune di Valdagno, Michele Vencato- al punto che ci eravamo rivolti all’ufficio Unesco per la Scienza e la Cultura in Europa,a Venezia, per cercare di ottenere un riconoscimento per la città sociale di Valdagno». Che cosa accade? I tecnici sono molto chiari, sostengono che l’Italia è il Paese con il maggior numero di siti protetti dall’Unesco (ora sono 54) per cui meglio percorrere altre strade. «Valdagno - aggiunge l’assessore - con tutto quello che si identifica prima con la città dell’armonia e poi la città sociale, diventi almeno Monumento nazionale. E su questo percorso abbiamo proseguito, anche con il Fai, redigendo quanto ci è stato richiesto. Certo, non sarebbero arrivati finanziamenti, ma almeno avremmo ottenuto un riconoscimento nei confronti di un modello che è stato studiato ed esportato e che ha lasciato un’impronta unica sul territorio». Presentata la richiesta a Roma, l’iter si è interrotto a causa della fine della legislatura, ma i valdagnesi non demordono, si va avanti comunque. «Vediamo che cosa accadrà, serve una legge dello Stato» conclude Vencato. Adriano Olivetti è stato uno dei padri della ricostruzione del nostro Paese: perché, accanto agli ingegneri, lavoravano con lui i migliori scrittori e intellettuali, il suo segretario personale era nientemeno che Geno Pampaloni, raffinato critico letterario. A Valdagno molti anni prima tra il 1927 e il 1937, in coincidenza con la maggiore espansione dell’industria laniera per volere dell’imprenditore Gaetano Marzotto, proprietario della storica industria laniera, su progetto dell’architetto Francesco Bonfanti nacque quella che venne chiamata “Città dell’Armonia”: costituì un esperimento urbanistico senza precedenti e, rispetto agli insediamenti operai che sorsero negli stessi anni in altre aree, un’esperienza unica nel suo genere. Gaetano Marzotto jr aveva capito l’importanza del rapporto tra impresa e società, oltre ad osservare che la società stessa presentava contraddizioni da risolvere: l’assenza di servizi sociali essenziali in presenza di salari bassi, l’insalubrità delle abitazioni e lo sviluppo disordinato del territorio. Tutto questo lo spinse a dar vita alla “Città Sociale”, un’esperienza giudicata “forse il più importante complesso di opere assistenziali in Italia” (a sostenerlo lo scrittore e giornalista Guido Piovene). Il disegno della “Città sociale” venne costruito tra il 1927 e il 1937, in coincidenza con la fase di maggiore espansione dell’industria tessile. L’intervento urbanistico non si limitò ad aggregare attorno alla fabbrica case operaie, istituzioni sociali, servizi sanitari in un disegno di semplice e diretta dipendenza da una logica di controllo sociale globale, in sostanza non costituiva un’appendice della fabbrica, ma rivelò invece un progetto di trasposizione sul territorio di concetti e metodologie operative tipicamente industriali. La nuova città - come si legge nei testi di architettura - venne costruita sulla sponda sinistra del fiume Agno, opposta a quella della città storica, non come organismo autosufficiente e nemmeno come semplice prolungamento della fabbrica. La Valdagno degli anni Trenta può essere considerata una concreta sperimentazione di quel rapporto tra cultura urbanistica e industria posto alla base dei congressi del Movimento Moderno: una sperimentazione legata ad una concezione urbanistica non utopistica, ma ancorata fortemente all’idea della città, all’intervento sulla città esistente e non alla teorizzazione di improbabili “new towns”, estranee alla cultura italiana. Il concetto di economia di scala era alla base dell’intervento: furono circa mille gli alloggi costruiti in più quartieri residenziali, compresi in un disegno urbanistico unitario che vide anche la realizzazione di uno stadio, di strutture ricreative ed assistenziali: dopolavoro, circolo operaio, poliambulatorio, orfanotrofio, casa di riposo per anziani, edifici scolastici: elementari, scuole di avviamento al lavoro, scuola tecnica, istituto industriale tessile, scuole medie e liceo classico e di un teatro di 1.860 posti. Si trattava di un insediamento di 4-5 mila abitanti dai caratteri decisamente urbani, in antitesi rispetto al modello insediativo del “villaggio operaio” fondato sulla logica della mera moltiplicazione. E in questo Marzotto fu decisamente lungimirante. •

Chiara Roverotto

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