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L'intervista

Mario Calabresi: «La memoria è forza civile e va spiegata ai bimbi»

Giornalista e scrittore, venerdì 28 aprile alla libreria Palazzo Roberti di Bassano
Mario Calabresi ha scritto il primo libro per ragazzi (FOTO STEFANIA CASELLATO)
Mario Calabresi ha scritto il primo libro per ragazzi (FOTO STEFANIA CASELLATO)
Mario Calabresi ha scritto il primo libro per ragazzi (FOTO STEFANIA CASELLATO)
Mario Calabresi ha scritto il primo libro per ragazzi (FOTO STEFANIA CASELLATO)

È una storia che parte da lontano. Che è maturata negli anni. Che ha trovato consistenza, parole, racconti, ricordi. In una parola: memoria. Mario Calabresi, giornalista e scrittore è un traghettatore di vite altrui. Prima le scopre e poi le scrive. Ne nascono libri, come in questo caso, oppure newsletter settimanali Altre/storie (mariocalabresi.it). “Sarò la tua memoria. Un nonna sopravvissuta ad Auschwitz. Suo nipote. Un viaggio nella storia” edito da Mondadori (174 pagine con le illustrazioni di Carla Manea) verrà presentato domani (venerdì 28 aprile) alle 18 alla libreria Palazzo Roberti di Bassano. Con l’ex direttore di “Repubblica” e “La Stampa” ci sarà uno dei protagonisti di questa vicenda: Joshua Edwards, nipote di Andra Bucci, padovana che assieme alla sorella Tatiana è sopravvissuta ad Auschwitz solo perché furono scambiate per gemelle ed erano ritenute un caso interessante da studiare per il dottor Mengele. In questo libro (indicato a partire dai 12 anni, ma anche per adulti) Mario Calabresi aggiunge un tassello alla storia di Andra, che porta ancora tatuato il numero identificativo che le venne impresso ad Auschwitz: 76483. Cinque numeri che il nipote Joshua scopre sul braccio della nonna ed inizia a fare domande, porre questioni. Come tutti i bambini è curioso, ma la nonna parte piano piano e, con il trascorrere delle estati, che il piccolo vive a Padova, la storia prende forza, consistenza. E la reazione del bambino che nel frattempo- cresce, impara, studia- è sorprendente. Ora ha 29 anni, lavora e porta la nonna nelle scuole americane a raccontare il suo passato. Una vicenda incredibile vista dagli occhi di un bambino. Indimenticabile per quelli di un adulto che ha studiato e compreso quale efferatezza sia stata al centro dell’esistenza di sua nonna e di milioni di altri ebrei.

Calabresi, da dove è iniziata questa storia?
Nel 2015, mi ero unito ad un gruppo di studenti del Lazio che andavano a visitare il campo di concentramento di Auschwitz. Con loro c’erano due signore: Andra e Tatiana Bucci ed altri sopravvissuti, ricordo bene Pietro Terracina, morto a Roma nel 2019, che facevano da guida. Raccontavano le loro storie ai ragazzi. Sono stato attratto dal racconto delle Bucci e ho chiesto se ci potevamo incontrare a Cracovia.

Che cosa la colpì di quella vicenda?
Il modo con il quale avevano fatto i conti con la loro memoria. Per anni non ne avevano parlato con alcuno, fatta eccezione per mariti e figli. 

E perché?
La loro risposta fu semplicissima. Nessuno chiedeva nulla. Negli anni Settanta e Ottanta nel nostro Paese c’era ancora un totale disinteresse per quanto accadde nei campi di concentramento. Non si sentiva il bisogno di riaprire quella vicenda, di mettere mani a quelle atrocità, di far riaffiorare ferite. Poi, nel 1994 arrivò il film di Spielberg, “Schindler’List”, e si iniziò a parlarne di più.

Poi, spunta Jousha.
La figlia di Andra conosce in discoteca un militare afroamericano di stanza alla caserma Ederle di Vicenza, i due si innamorano, si sposano e vanno a vivere in California. I legami con la madre restano forti e il nipote trascorre le estati a Padova. Con il tempo nota la serie di numeri tatuati sul braccio ed inizia a domandare. A quel punto Andra non può tirarsi indietro ed inizia il racconto della sua vita, partendo dal 4 aprile del 1944 quando arrivò ad Auschwitz.

Come si salvarono le sorelle?
Erano in fila dietro ad Andra c’era Tatiana e davanti la loro mamma Mira. Andra e Tatiana erano nate a Fiume, la madre era un sarta di famiglia ebrea, nata al confine tra Russia e Ucraina; il loro padre era Giovanni, un fiumano di famiglia cattolica che lavorava come cuoco sulle navi. Quando arrivarono le leggi razziali, Mira cercò di battezzare le bambine, ma questo non le salvò dalla deportazione. Le due piccole erano vestite nello stesso modo quando arrivarono nel campo di concentramento, vennero scambiate per gemelle e riuscirono a salvarsi. Ad Auschwitz furono deportati 210 mila bambini e si salvarono in 600.

Il nipote si fa carico della loro storia.
Questa è la parte della storia che mi aveva impressionato di più. Infatti, andai in California a conoscere questo ragazzo che si prese sulle spalle il peso della vicenda raccontandola nelle scuole. 

La memoria?
Esatto. E lo fa in maniera sconvolgente. Nell’ultimo anno di liceo, dopo che la nonna gli aveva raccontato tutto quello che aveva subito, decide di vivere per una settimana in garage portando gli stessi abiti, mangiando brodaglia, senza riscaldamento, telefono, amici e cerca di rivivere l’esperienza di Andra. Ne esce una tesina per la maturità che presenterà ai professori. Sapendo molto bene che le condizioni nelle quali aveva vissuto per una settimana non erano paragonabili a quelle della nonna, ma non desiste e va nelle scuole a parlare dell’Olocausto.

Che cosa ci insegna la memoria in questo caso?
Capire gli errori e, nello stesso tempo, come possa diventare una forza per la società, che deve guardare avanti continuando a testimoniare. 

La memoria rimane un tema divisivo: è trascorso il 25 aprile e le polemiche non sono mancate.
La memoria non può essere utilizzata come un’arma politica e non si può nemmeno piegare al dibattito politico. 

Le cronache dicono altro, giusto?
La nostra Repubblica nasce con la fine del fascismo, dopo un referendum che mette fine ad una monarchia che ha assecondato e convissuto con la dittatura fascista. E sulla conclusione di quell’esperienza è nata una Costituzione antifascista. Dobbiamo ringraziare gli alleati che sono riusciti a risalire l’Italia e tutte le persone che si sono battute durante la Resistenza. 

Il presidente del Senato è andato a Praga, come legge questo gesto?
Credo che le regole della Repubblica, i valori fondanti della nostra carta Costituzionale debbano essere preservati, soprattutto quando si ricopre la seconda carica dello Stato. Se una persona non crede in questi valori non è tenuto a farsene carico. Evita di accettare determinati ruoli. 

Abbassare i toni?
Chi ha responsabilità di governo è tenuto al rispetto delle forme e delle norme istituzionali. La Russa è al Senato non per rappresentare una storia personale, ma quella di un intero Paese. Dovrebbe ricordarlo.

Chiara Roverotto

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