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Il libro

Manager di Zanè racconta la gioia di un'adozione e gli anni di attesa

Il manager di Zanè Antonio Paciletti con il figlio Enock
Il manager di Zanè Antonio Paciletti con il figlio Enock
Il manager di Zanè Antonio Paciletti con il figlio Enock
Il manager di Zanè Antonio Paciletti con il figlio Enock

Una famiglia, tre passaporti e molti trolley. Ma soprattutto la voglia di diventare genitori, raccontandolo con humor e passione. È una vicenda che si snoda tra Italia e Burundi, con singolari triangolazioni tra il Vicentino, la Puglia e Gran Canaria. “Certe notti ti guardo dormire”, (138 pagine, Rizzoli) è il libro di Antonio Paciletti, manager per un’azienda berica, residente a Zanè con la moglie Beatriz ed Enock, che frequenta oggi la terza elementare. 

È la loro vicenda di papà e mamma adottivi e di un figlio dell’Africa dotato di energia contagiosa ad essere al centro di un soliloquio di Antonio Paciletti, cofondatore e vicepresidente di una onlus, la 4INZU, che ha realizzato una casa e dei servizi a Gitega dove opera l’Associazione per i bambini in difficoltà per il progresso del Burundi (i proventi del libro vanno alla costruzione dell’orfanatrofio). Dopo quattro anni di trafila per l’adozione internazionale, la mattina in cui squilla il telefono e Alda ha buone notizie, ad Antonio e Bea si capovolge il cuore, si ribalta il mondo. Ha 3 anni e mezzo il bimbo, arriva la foto. «Con la mano tremante, apro il messaggio. Tremante sì, cavoli: sto per vedere mio figlio! Eccolo qui - scrive l’autore - due occhi enormi, due fari, uno sguardo smarrito, due ciabatte rosa almeno quattro numeri più grande del suo piede. Il passaggio dalla felicità alla preoccupazione avviene in un lampo». 

La domanda è: saremo all’altezza di diventare genitori? Dopo che ce lo hanno chiesto tante volte i parenti, che la zietta insiste per avere un nipote, dopo i tentativi andati a vuoto, ecco la via dell’adozione, di quel percorso che è lungo - «si chiamerebbe altrimenti percorto» - e impegnativo. È il momento in cui Antonio ripercorre la sua infanzia a Cerignola, città natale del padre, i viaggi sulla Lancia Beta, le partite al San Paolo a vedere Maradona, il battito rivolto a Sud anche quando si vive a Nord.
Il viaggio di primavera verso il Burundi spazza via la logorante attesa, gli incontri con la psicologa, l’appuntamento col sottosegretario, pronti a pronunciare dopo infinite prove la frase magica: «Dagu kunda», ti vogliamo bene. La compagnia di altre tre coppie di genitori adottivi, provenienti dalla Puglia, stempera e allevia la tensione dell’incontro, la prima stretta, le lacrime della bimba amica di Enock che resta lì. Il linguaggio dei gesti è sovrano. Poi il rientro in Italia, la conoscenza di nonni e zii, il bis con i parenti spagnoli, la scuola materna, una corsa sul sellino della bicicletta in cui Enock grida impazzito in kirundi qualcosa che suona «vedete è il mio papà, corre, suona il campanello, è il mio papà».

È un libro che trasuda entusiasmo e gioia: «Lo avevo autopubblicato su Amazon e avevo venduto 1.500 copie, poi mi hanno cercato due case editrici. La Rizzoli ha deciso di farmelo sistemare e pubblicarlo - dice Paciletti - No, non volevo fare un manuale per genitori adottivi ma mettere in fila come fossero delle foto il prima e il dopo. Non ho trovato libri che parlassero dell’adozione con allegria ed ironia, solo racconti problematici e un po’ tristi. Volevo marcare che la differenza con i genitori biologici non esiste: si diventa genitori e basta, vivendo e crescendo insieme». 
Scritto durante il primo lockdown del 2020, rubando un po’ di sonno al mattino o allo smart working, il testo è stato presentato a Cerveteri, prossimamente in una scuola elementare di Verona con Enock stesso «che parlerà ai suoi coetanei del quarto modulo dell’orfanatrofio che è un asilo, lo descriverà con il suo sguardo». 
Enock gioca a calcio, è bilingue - grazie allo spagnolo della mamma -, va a scuola con profitto, balla e scherza: «La cosa più bella che mi sono sentito dire in questi anni è: ma sai che tuo figlio ti somiglia tantissimo? - osserva papà Antonio - Ecco la simbiosi è questa, ad essere genitori si impara vivendo con il proprio figlio e amandolo. Di ogni cosa ho imparato a dire che se il risultato o la gioia non arriva, almeno godiamoci il viaggio».

Nicoletta Martelletto

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