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I partigiani rossi
assassinati
a Malga Silvagno

di Mauro Sartori
LIBRI. Lo scrittore e ricercatore scledense riapre una pagina fosca della guerra civile, delineando una sorta di Porzûs all'incontrario.
Secondo Ugo De Grandis massacrati dai moderati
La copertina del libro appena pubblicato da Ugo De Grandis
La copertina del libro appena pubblicato da Ugo De Grandis
La copertina del libro appena pubblicato da Ugo De Grandis
La copertina del libro appena pubblicato da Ugo De Grandis

Il giorno nero della Resistenza vicentina è fissato sul calendario, secondo lo scrittore e ricercatore scledense Ugo De Grandis, alla data del 30 dicembre 1943 quando quattro partigiani "rossi" vennero assassinati, secondo questa tesi, su ordine degli antifascisti moderati che avrebbero individuato in loro un pericolo. "Malga Silvagno", nelle librerie in questi giorni con prefazione di Ezio Maria Simini, racconta la vicenda di quello che potrebbe diventare il controaltare di Porzûs, la località friuliana dove accadde esattamente il contrario nel febbraio del '45, quando i gappisti fecero fuori i partigiani cattolici della Brigata Osoppo, fra i quali il fratello di Pierpaolo Pasolini.
De Grandis narra le gesta di un gruppo di giovani: Giuseppe Crestani, nato a Duisburg in Germania da genitori conchesi, ufficiale delle Brigate Internazionali durante la guerra di Spagna, Tomaso Pontarollo, nato a Valstagna ed emigrato prima in Francia e poi in Algeria, che aveva successivamente scontato sei anni di confino a Ventotene, Ferruccio Roiatti, udinese, reduce da nove anni di carcere duro trascorsi nei più famigerati penitenziari fascisti.
Infine un misterioso antifascista veneziano, "Zorzi" o "Maschio", pure lungamente perseguitato dal fascismo, la cui identità rimane a tutt'oggi sconosciuta.
I quattro facevano parte di un distaccamento partigiano che aveva preso possesso, dall'ottobre '43, di una malga sul Monte Cogolin, alle spalle dell'abitato di Fontanelle di Conco e intendevano imprimere al gruppo una condotta in linea con le direttive emanate dal Comando delle Brigate Garibaldi, che consisteva nell'organizzazione di azioni di disturbo ai danni delle truppe di occupazione tedesche e dai repubblichini. Ma la prima azione armata del gruppo, l'uccisione del commerciante Alfonso Caneva, accusato di agire da informatore dei nazifascisti e di aver causato la deportazione di alcuni giovani dell'Altopiano, incrinò il precario equilibrio fra moderati e interventisti. Dai primi venne giudicata inaccettabile la prospettiva di una presa di comando del distaccamento da parte dei comunisti.
Il giorno di Santo Stefano il quartetto mise a segno un'altra azione violenta a Valstagna: l'uccisione di Antonio Faggion, già podestà e commissario prefettizio. Secondo de Grandi, la goccia che fece traboccare il vaso. Ci furono contatti con i comunisti di Schio per rafforzare il gruppo ma i rinforzi "rossi"arriveranno in ritardo perchè il 30 dicembre, a Malga Silvagno, i quattro furono uccisi da alcuni giovani sobillati, secondo le ricerche di De Grandis, da un impiegato del Distretto di Vicenza che teneva i collegamenti fra le formazioni partigiane e gli antifascisti cittadini. L'ufficiale sanitario di Valstagna, Marino Michieli, trovò i cadaveri di Pontarollo e "Zorzi" legati e incappucciati. Crestani e Roiatti caddero in un agguato successivo, sotto le raffiche di tre giovani.
Il gruppo si rifonderà su basi badogliane, ma cadrà vittima di un rastrellamento. Decimo Vaccari, Luigi Nodari e Giovanni Rossi, fucilati all'interno del Castello inferiore di Marostica, sarebbero i maggiori indiziati dell'eccidio di Malga Silvagno. Il Pci aprì varie inchieste ma nell'estate del '46, data la nuova linea politica avviata da Togliatti, l'episodio fu accantonato. De Grandis riapre la questione, completando le ricerche dell'asiaghese don Pierantonio Gios, e toglie dall'oblio la figura dei quattro comunisti trucidati, dimenticati per quasi 70 anni.

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