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Il libro

Tre lettere e i temi chiave di una vita. Tamaro: «La scrittura è sempre una cura»

La scrittrice sarà oggi alle 18 alla libreria Palazzo Roberti di Bassano con l'ultimo romanzo "il vento soffia dove vuole"

A dispetto dell'esplicito richiamo al Vangelo, nel titolo dell'ultimo libro di Susanna Tamaro "Il vento soffia dove vuole" (Solferino editore 236 pagine) - verrà presentato oggi alle 18 alla libreria di palazzo Roberti a Bassano, dialoga con l'autrice Silvia Dalla Rosa - c'è un che di spirituale, ma soprattutto è pervaso da fermento e dinamismo. In un crescendo di progressiva incandescenza emozionale che nasce dalla marcata ed esplicita impronta psicologica femminile, Chiara a sessant'anni decide di scrivere tre lettere: la prima indirizzata alla figlia adottiva Alisha; la seconda a Ginevra, figlia naturale; e a Davide, il marito.

Un lavoro sul proprio vissuto

E non si tratta di un gioco di specchi dove vengono proiettate immagini diverse, bensì di un lavoro sul proprio vissuto, sulle emozioni e i patimenti in grado di sondare territori nascosti. Si potrebbero definire lettere d'amore, in realtà sono molto di più. In primo luogo per la scrittura scabra, esatta, tagliata con una lama. E, poi, per il ritratto di una donna che prende forma dai racconti più intimi che trova il coraggio di confessare per la prima volta. Susanna Tamaro, in ripresa dopo una caduta accidentale, torna al suo vecchio stile, quello di "Va' dove ti porta il cuore", bestseller internazionale, e si concentra sulle tematiche generazionali ricordando quanto importanti siano i legami famigliari. Per quanto complessi, complicati e difficili.

Un invito alla calma e all'analisi

Quello della scrittrice è un invito alla calma, all'analisi. In un momento in cui la fretta sembra la padrona del nostro vivere, Tamaro ci indica la strada della riflessione: si può anche non essere d'accordo, ma il messaggio arriva forte e può stimolare più di qualche discussione.

Il libro è incentrato sulla comunicazione: manca?
Molto. O meglio, è diversa rispetto ad un tempo. Ora digitiamo messaggi, tutto è striminzito. Invece, serve profondità. Se non scaviamo dentro di noi facciamo fatica a comprendere che cosa accade fuori.

La letteratura aiuta?
È pervasiva. Deve andare diritta nell'anima e illuminare le parti più complesse.

Chiara è una donna che affronta prove dure come un aborto: perché ha scelto di parlarne?
Per la mia generazione era un tabù. Non era ancora stato approvato il referendum del 1978. E riflettevo da tempo su questo tema. Per la protagonista è un evento doloroso.Lo è per tutte le donne. Per loro ci dovrebbe essere una rete maggiore fatta di tutela e protezione. Scegliere è sempre complicato. Non c'è mai leggerezza. Quando Chiara resta incinta, il padre è un ragazzo ricco che sistema tutto pagando. Ma non è mai così semplice e in quegli anni si discuteva molto di questo tema. Iniziavano le prime manifestazioni, lei ne parla dopo tanto tempo, ma ci ha sempre pensato molto.

Nel libro anche i rapporti con le figlie sono complicati?
Certo, tra la figlia naturale e quella adottiva. La prima si porta dentro un bagaglio genetico, assomiglia sempre a qualcuno, si impasta con la storia della famiglia. Mentre per quella adottiva il bene scorre più liberamente senza barriere anche se dietro la sua felicità c'è sempre una sorta di salvezza personale.

Perché ha scelto questo titolo?
"Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito": lo disse Gesù a Nicodemo. Alla fine penso che l'unico grande spartiacque che domina il mondo sia tra chi è consapevole del male e cerca di contrastarlo e chi, invece, ha come unico orizzonte il proprio tornaconto.

Che cosa c'è di autobiografico in questo romanzo?
Molto poco. Arrivo da una famiglia del dopoguerra disgregata, disfunzionale. Mi consideravano una bambina capricciosa. In realtà il mio malessere era legato alla sindrome di Asperger, una forma particolare di autismo che mi ha fatto soffrire tantissimo e che ho capito di avere in età adulta e con la quale convivo.

Sembra tornata un po' allo stile di "Va' dove ti porta il cuore"?
Forse, anche se allora il libro raccontava di una donna che si stava avvicinando alla fine e apriva il cuore alla giovane nipote, in questo invece c'è uno sguardo più interno e intenso. Si torna alla scrittura come facevamo un tempo.

Rimpianti?
Il mio era il mondo dei diari con i lucchetti, delle lettere, delle cartoline. In una parola della carta. Sono convinta che solo davanti ad un foglio bianco riusciamo a tirare fuori le cose più importanti. Scrivere diventa una sorta di diario della memoria. E mi farebbe piacere che da questo libro si capisse. Perché tutto scappa con una velocità incredibile e invece dobbiamo fermarci e fissare.

Come scrive i suoi libri?
Non al computer, a mano.

Che cosa la spaventa di più di questi tempi?
L'incoscienza, il distacco da tutto ciò che è umano. Non ci può essere solo efficienza, intelligenza artificiale. Così costruiamo zone d'ombra, d'indifferenza. E non ragioniamo con la nostra testa.

Progetti per il futuro?
Quest'ultimo libro mi ha veramente prosciugato.

Quanto ci ha messo a scriverlo?
Qualche mese. Ma è stato impegnativo, intenso, laborioso. Se mi rimetterò al lavoro lo farò solamente con storie per bambini. Scrivere romanzi sta diventando sempre più complicato.

Chiara Roverotto

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