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L'intervista

Patrick Zaki: «Dopo le torture mi batto per i diritti»

di Chiara Roverotto
Il ricercatore egiziano ad Agugliaro (unica tappa veneta) presenta il suo primo libro “Sogni e illusioni di libertà. La mia storia” che racconta i 20 mesi trascorsi in carcere

Attraverso le sue parole, conosciamo l’inferno che ha dovuto attraversare. Patrick Zaki descrive l’arresto e gli interrogatori. Il terrore di non sapere dove sarebbe stato portato. Fa una fotografia dettagliata delle condizioni delle carceri egiziane: si dorme sul pavimento, i bagni non hanno le porte, non si può usare l’acqua. In alcuni casi il sovraffollamento - racconta - è tale che la notte non puoi dormire appoggiando tutto il corpo sul pavimento, sei obbligato a dormire sul fianco e a non girarti mai. I detenuti sono incastrati come in una scacchiera e il minimo movimento è vietato.

Patrick George Zaki è nato il 16 giugno 1991 a Mansura, in Egitto, da una famiglia copta. Dopo aver studiato Farmacia a Il Cairo, inizia a lavorare all’Eipr (Egyptian Initiative for Personal Rights), una delle più importanti organizzazioni egiziane per la difesa dei diritti umani e civili. Nel 2019 decide di ricominciare a studiare, si trasferisce a Bologna e si iscrive alla laurea magistrale internazionale in Women’s and Gender Studies. Per il suo lavoro in favore dei diritti umani e per le opinioni politiche espresse sui social media è rimasto in carcere per 20 mesi. Ed è lì che ha iniziato a scrivere. Ora quelle pagine compongono un libro “Sogni e illusioni di libertà. La mia storia” (edito da La Nave di Teso, 254 pagine) che l’autore presenterà questa sera (mercoledì 13 dicembre) alle 20,30 - al festival letterario Villeggendo - nel padiglione polifunzionale di via Umberto 1 ad Agugliaro. Unica tappa veneta dopo Basilea, Ginevra, Roma, Milano, Piacenza, Brescia. 

In Italia il suo nome è stato spesso associato a quello di Giulio Regeni, studente friulano iscritto all’università di Cambridge che venne torturato e ucciso, sempre nella capitale egiziana, nel 2016 (il corpo venne ritrovato il 3 febbraio del 2017) nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani.
Regeni stava svolgendo una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani. Entrambi i giovani sono stati torturati e hanno fatto crescere la sensibilità sui diritti umani in Italia e non solo. Per loro ci sono state manifestazioni e appelli al mondo politico. Se Zaki è stato liberato dopo la grazia del presidente egiziano Abdel al-Sisi, su Regeni si sta ancora cercando la verità. Li lega un filo, una matrice, una forza incredibile. Se il primo è morto, il secondo può raccontare la sua vicenda. 

Zaki, innanzitutto, come sta?
Mi sento molto bene, sono davvero felice di essere in Italia. Poter viaggiare liberamente è davvero una sensazione splendida.

Che atmosfera sente attorno a lei durante le presentazioni del libro?
Tutti sono generosi e gentili, le persone sono incantevoli. Mi sento a mio agio e al sicuro.

Come l’ha segnata la prigionia?
È come una cicatrice in mezzo al petto. Una cicatrice che non dimenticherai mai. Ha lasciato un segno enorme nella mia vita, anche nella mia routine quotidiana, in tutto ciò che faccio.

In questo libro racconta tutte le crudeltà che ha subito: crede di essere ancora in pericolo?
Ogni difensore dei diritti umani è sempre in pericolo, non si sa mai cosa potrebbe accadere. Tutti coloro che lavorano nella nostra regione corrono un grosso rischio, ma a volte si è obbligati a correre rischi per salvare gli altri e lottare per i loro diritti.

Quando ha capito che sarebbe rimasto a lungo in Egitto?
Subito dopo l’arresto. Di sicuro non sapevo quanto, ma sapevo che non sarebbe stata una questione facile o veloce da risolvere.

Che cosa l'ha sostenuta durante i mesi di prigionia? 
Molte cose mi hanno dato conforto, ma faccio sempre riferimento al popolo italiano, gli devo molto perché ha salvato la mia vita. All'inizio, dopo essere scomparso per 40 ore, hanno chiesto al governo la mia libertà; quando ero in prigione ho ricevuto molti messaggi. Poi tutti, inclusa la mia famiglia e mia moglie, mi hanno aiutato a superare questo difficile momento. Ringrazio la società civile italiana, Amnesty e tutti coloro che hanno lavorato per la mia libertà.

Lei si è sempre definito un attivista per i diritti umani, a che cosa sta lavorando ora?
Ho appena finito il libro e sto svolgendo alcune consulenze per istituzioni dei diritti umani in Europa. Sto anche lavorando alla mia tesi di dottorato, sto pubblicando articoli per alcune riviste internazionali, sto facendo molte cose e spero di farle nel modo giusto.

Pensa che il Governo Meloni sia intervenuto per chiedere la sua liberazione?
I due governi quando ero in prigione hanno cercato di usare le vie diplomatiche per risolvere la situazione e lavorare per la mia liberazione. Sostengo sempre che il governo si mette in moto quando le persone chiedono di muoversi, quindi il governo italiano ha effettivamente lavorato per risolvere la situazione perché il popolo italiano desiderava e puntava sulla mia libertà. Credo sia questa la chiave di lettura.

Che cosa pensa di quanto sta avvenendo in Ucraina, a Gaza e in Israele?
Spero che l'attacco all’Ucraina si fermi e che tutti possano vivere in pace, così non verranno uccisi più civili senza motivo. Desidero che tutti vivano in pace. 

Che cosa vede nel suo futuro?
Lavorerò all’interno di un'istituzione per i diritti umani o forse anche per un'organizzazione internazionale. Dopo tutto quello che è accaduto questo rimane il mio ambito. La mia forza e la mia scelta.

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