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JEFFERSON, L’INVENTORE
DEL CAMPUS UNIVERSITARIO

L'Università della Virginia[1] a Charlottesville, fondata da Thomas Jefferson: la prima pietra venne posata nel 1817 e ultimata nel 1819
L'Università della Virginia[1] a Charlottesville, fondata da Thomas Jefferson: la prima pietra venne posata nel 1817 e ultimata nel 1819
L'Università della Virginia[1] a Charlottesville, fondata da Thomas Jefferson: la prima pietra venne posata nel 1817 e ultimata nel 1819
L'Università della Virginia[1] a Charlottesville, fondata da Thomas Jefferson: la prima pietra venne posata nel 1817 e ultimata nel 1819

In tempi di dibattiti sulla “buona scuola” la mostra su Thomas Jefferson (al Palladio Musem, fino al 28 marzo) prende una parte precisa: secondo il terzo Presidente i nuovi Stati Uniti d’America dovevano costruirsi a partire dall’istruzione dei propri cittadini, di cui lo Stato deve farsi carico. Lo stesso Jefferson aveva studiato con profitto e passione nel college William and Mary di Williamsburg dedicandosi alle scienze e alle lingue classiche, tanto che potè leggere i classici latini e greci in lingua originale. Studiò a fondo anche l’italiano: nel 1764, appena ventenne, comprò un dizionario italiano inglese e opere di Machiavelli e Guicciardini per impratichirsi nella nostra lingua. Uno dei primi testi a cui si dedicò furono i Quattro Libri dell’architettura di Palladio, che gli ispirò il nome per la sua tenuta: Monticello, dalla descrizione palladiana del sito dove sorge la Rotonda di Vicenza, “un monticello di ascesa facilissima, circondato da amenissimi colli che ne fanno un molto grande teatro”.

Che l’istruzione dei cittadini sia l’unica difesa della democrazia emerge anche dalle azioni di Jefferson appena eletto al Congresso nel 1783, dove è impegnato nel disegno del territorio americano tramite una griglia scientifica ispirata alla centuriazione romana. L’unità amministrativa minima, la township, era un quadrato di sei miglia per sei miglia, suddiviso in trentasei quadrati minori di un miglio per lato. Al centro il quadrato numero sedici doveva sempre essere destinato alla scuola pubblica.

Ma Jefferson riteneva di aver realizzato il proprio capolavoro architettonico alla fine della vita: nel 1817, a 74 anni, fondò l’istituzione di cui andava più fiero, l’Università della Virginia. Tanto è vero che nella sua tomba, Jefferson fece incidere: «Autore della Dichiarazione d’Indipendenza, promotore della legge sulla libertà di religione e padre dell’Università della Virginia». Ma non si trattò di un massiccio edificio simile al college William & Mary dove aveva studiato da ragazzo. Jefferson concepì l’università come una villa veneta, sistema di edifici collegati fra loro e costruiti intorno ad un grande spazio aperto, in questo caso un prato con erba e alberi, il lawn. Diede al complesso la forma di una grande “U” aperta, con dieci padiglioni dove sono collocate le aule (a piano terreno) e le residenze dei professori (al piano superiore). Le camere degli studenti furono ospitate nei portici colonnati che collegano i padiglioni.

Al centro, come la casa dominicale in una villa, Jefferson pose la monumentale biblioteca, disegnata sulla base dei rilievi del Pantheon di Roma. Con l’Università della Virginia nasce il prototipo del campus universitario: un’architettura aperta, un’idea di comunità e insieme la visione che la cultura sia il terreno ideale per costruire l’identità di una nazione.

Jefferson coniò il termine “villaggio accademico” (academical village) per definire questa inedita “architettura dell’istruzione”. Cominciò a progettare nel 1810, e sviluppò il concetto nel corso degli anni in dialogo con architetti professionisti suoi amici, come William Thornton o Benjamin Latrobe. Alla fine i padiglioni saranno dieci, ognuno con un ordine architettonico diverso, per essere utilizzati nelle lezioni di architettura degli studenti. Jefferson si ispirò a Palladio sistematicamente come modello per disegnare cinque dei dieci padiglioni. Ma sorse un problema: Jefferson nel 1815 aveva venduto la propria intera biblioteca al Congresso Usa ed era privo di una copia dei Quattro Libri palladiani. La chiese in prestito a suo amico James Madison, che gli era succeduto come quarto presidente degli Stati Uniti, perché – come gli scrisse - “senza i Quattro Libri mi è impossibile progettare”.

Guido Beltramini

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