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L'intervista

Giuseppe Marzotto, dallo speedway agli aerei. «Ho un mio parco giochi dove coltivo la passione per i motori»

di Lino Zonin
In arte Charlie Brown, 80 anni, il campione vicentino di gimcana e motocross in gioventù ancora in cerca di nuove esperienze ed emozioni tra i motori
Nell'ex magazzino della sua azienda agricola Giuseppe Marzotto smonta e e rimonta veicoli e motori
Nell'ex magazzino della sua azienda agricola Giuseppe Marzotto smonta e e rimonta veicoli e motori
Nell'ex magazzino della sua azienda agricola Giuseppe Marzotto smonta e e rimonta veicoli e motori
Nell'ex magazzino della sua azienda agricola Giuseppe Marzotto smonta e e rimonta veicoli e motori

A vederlo così, magro e scattante, sempre pieno di entusiasmo e di idee, non si direbbe davvero che qualche mese fa ha compiuto ottant'anni. Giuseppe Marzotto, in arte Charlie Brown, campione di gimcana e motocross in gioventù - tra i protagonisti delle gare di speedway al Circolo di Lonigo e in molte altre piste in tutta Italia, costruttore di motori da gara dopo aver appeso il casco al fatidico chiodo, da sempre in cerca di nuove esperienze e di nuove emozioni - ha davvero questa veneranda età.

Come devo chiamarla, Giuseppe o Charlie?
È lo stesso. Tanto, un nome o l'altro, il totale degli anni non cambia.

Da dove arriva il soprannome?
Dalla necessità di non farmi riconoscere da mio padre. Per lui quelli che andavano in moto erano "I mati che correva" e l'ultima cosa che desiderava era vedere il suo cognome sui giornali. Quando ho portato a casa il primo casco, un jet bianco e bellissimo costato tremila lire e l'ho messo sopra la credenza, lui l'ha preso e l'ha buttato fuori dalla finestra. A quel punto, uno pseudonimo era più che necessario.

Come mai proprio l'eroe delle strisce di Schulz?
Perché è un bel personaggio. E poi è uno che nella vita incontra un mucchio di disavventure, proprio come me.

Che Giuseppe/Charlie è nato nel 1944 lo sappiamo. Possiamo aggiungere qualche altro dato anagrafico?
Sono arzignanese e nella città del Grifo sono cresciuto, primo di sette fratelli. I miei gestivano un negozio di elettrodomestici e appena ho avuto l'età giusta mio padre mi ha messo al lavoro. Però vendere frigoriferi, montare antenne, riparare televisori non mi piaceva, così, quando mio padre ha acquistato un podere a Monticello di Fara e ha chiesto ai figli chi voleva andare a fare il contadino, non mi sono fatto scappare l'occasione. È stata una scelta giusta, perché in quella fattoria sono nati molti progetti.

La passione per i motori e per lo sport quando è arrivata?
Non è che sia arrivata, l'ho sempre avuta. Si può dire che i motori e la competizione sportiva facciano parte del mio Dna. E la voglia di sperimentare e di misurarmi è cresciuta assieme a me.

Quali sono state le prime esperienze agonistiche?
Con l'arrivo della Vespa, molte moto di altre marche sono finite in cantina e con quattro lire si potevano comprare dei mezzi ancora funzionanti. Io prendevo questi catorci, li trasformavo in bizzarri fuori strada con i quali scorrazzavo sulle colline di Arzignano. Da lì è nato l'interesse per il moto cross e presto ho cominciato a correre le prime gare. Gli inizi agonistici veri e propri sono stati con le gimcane vespistiche.

Ha affrontato il leggendario campione Gastone Giarolo?
Lui correva con il Cinquantino, io con la Vespa Primavera 125. Abbiamo vinto insieme alcuni campionati italiani nelle due categorie. Con le gimcane ci si divertiva e si guadagnava qualche soldino.

Con le automobili come è andata?
Ho fatto le mie esperienze. Una volta Giorgio, un mio amico di Arzignano che si fidava di me, mi ha chiesto se potevo portare la sua Ferrari 275 GTB 4 a Maranello per il tagliando.

E ha accettato?
Secondo lei? Per me quel giorno poteva andare a fuoco il negozio di mio padre; non avrei mai rinunciato a un'occasione simile. Per andare in Emilia si passava in mezzo ai paesi e di fianco alle fattorie. È stata un'esperienza fantastica guidare quel bolide fino alla casa madre. In seguito mi sono preso delle soddisfazioni anch'io. Ho comprato alcuni gioiellini d'epoca, che conservo ancora: una Triumph TR 3 del 1957 e una Ford Lotus Cortina con motore cosworth.

Come è approdato allo speedway?
Quando il motocross è cambiato ed è diventato uno sport per semi professionisti, ho raccolto l'invito del futuro campione italiano Annibale Pretto, allora agli esordi, di provare a correre come lui su una pista di sabbia con le moto senza freni. Con la mia Husqvarna 250 ho partecipato alla gara che si correva a Lonigo ogni anno agli inizi di luglio, arrivando secondo dietro al grande Mario Rupil. In seguito si è preso delle belle soddisfazioni. Per uno come me, abituato nel cross a manche di 40 minuti, fare quattro giri in tondo era un gioco da ragazzi. Ricordo che una volta a Castelmassa, con una pista pesante, i miei avversari scesero stravolti dalla moto e si fecero massaggiare le spalle, mentre io ero fresco come una rosa. Per qualche anno ho corso nelle piste che si stavano aprendo in Italia; poi, attorno ai 35 anni, ho cominciato a costruire motori da speedway. È nato così il marchio GM, le mie iniziali anagrafiche.

Che esito ha avuto la nuova avventura?
Prima dell'avvento del mio motore, i marchi storici erano Jawa, Weslake, Goden. In una quindicina d'anni il GM diventò il motore preferito dai piloti, tanto che per alcuni anni i mondiali di speedway diventarono monomarca GM. Qualche anno fa un mio ex concessionario danese copiò integralmente il mio motore e iniziò a farmi concorrenza.

Non è contro la legge, il comportamento del suo antagonista commerciale?
L'invenzione del motore a scoppio ha quasi 200 anni. Tutte le innovazioni possibili sono state fatte e non c'è niente di nuovo da brevettare. Questo signore ha così potuto copiare di sana pianta il mio motore e farla franca. Nonostante ciò GM ha la fiducia dei piloti e continua a vincere. C'è anche da dire che avere degli antagonisti è stimolante e spinge a migliorare.

Dove vengono costruiti i motori?
Nei primi tempi qui, dove siamo ora. Poi questo ex magazzino dell'azienda agricola è diventato il mio parco giochi per custodire le moto e le auto e divertirmi con loro. Per vedere gli aeroplani dobbiamo spostarci da un'altra parte. Oggi l'azienda, più grande e moderna, che gestisco assieme a mio figlio Emanuele, si trova ad Alonte.

Qual è il giro d'affari?
Costruiamo circa 350/400 motori all'anno, destinati a vari concessionari sparsi in tutto il mondo. Il nostro è un mercato di nicchia, e meno male che le cose vanno così. Se qualche colosso industriale decidesse di interessarsi ai motori da speedway, farebbe di noi un solo boccone.

Cosa diceva poco fa a proposito di aerei?
Che, assieme alle moto e alle automobili, sono l'altra mia grande passione. Ho cominciato col deltaplano a volo libero, quel triangolo di tela che ti carichi sulle spalle prima di buttarti giù da una montagna. Poi sono passato agli aeroplani fatti in casa, all'inizio con tubi saldati insieme, un telo e un motore. Il primo che ho usato era il motore di una Daf. In seguito ho cominciato a comprare i kit preparati per assemblare i pezzi. In questo modo ho costruito cinque aeroplani, alcuni dei quali volano con un mio motore costruito appositamente.

Sicché era lei uno di "quei pazzi sulle macchine volanti" che solcavano i cieli col bel tempo? Continua ancora volare?
L'ultimo giro l'ho fatto ieri pomeriggio. Una panoramica collinare tra Berici ed Euganei. Dietro casa ho una pista di decollo: posso andare tranquillamente a spasso per i cieli.

Come sta adesso il vecchio - possiamo dirlo - Charlie Brown?
Né meglio né peggio di quando ero più giovane. Però non mi lamento, continuo a lavorare e a divertirmi nel mio ex magazzino trasformato in "parco giochi".

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