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L'intervista

Giorgio Tassotti: «Dal giornalismo alla grafica, all'amore per i Remondini A 90 anni mi gioco ancora una carta»

di Lorenzo Parolin
Tassotti, 90 anni, tra i suoi meriti ha l'aver raccolto e rivitalizzato l'eredità dei Remondini, stampatori che portarono in tutta Europa il nome di Bassano
Giorgio Tassotti, 90 anni appena compiuti
Giorgio Tassotti, 90 anni appena compiuti
Giorgio Tassotti, 90 anni appena compiuti
Giorgio Tassotti, 90 anni appena compiuti

Memoria storica dell'imprenditoria bassanese, giornalista, promotore culturale ed editore, oltre che commendatore. E da ieri 90enne. Giorgio Tassotti tra i suoi meriti ha l'aver raccolto e rivitalizzato l'eredità dei Remondini, stampatori che portarono in tutta Europa il nome di Bassano: «Ho trasformato una mia grande passione in professione, ed è questa la ricetta per non sentire il peso del lavoro» osserva.

Quando nascono le Grafiche Tassotti?

La fondazione dell'azienda risale al 1957 quando grazie al giornalismo maturai la vocazione per la grafica. Avevo studiato da ragioniere, ma mentre ero ancora sui banchi di scuola avevo conosciuto dei redattori veneziani del Gazzettino che, quando passavano a Bassano, erano ospiti di miei parenti. Mi dissero che cercavano un giovane per i pezzi sportivi. Risposi subito di sì e da adolescente cominciai a frequentare le redazioni.

Com'erano le sue giornate?

Facile: scuola al mattino, studio e compiti fino alle 16.30, poi giornale fino alle 19.30, anche perché in breve avevo esteso il mio impegno alla cronaca. Il sabato mi fermavo un po' di più, la domenica stavo in redazione perché il lunedì usciva l'inserto sportivo. All'epoca non c'era internet e la televisione era agli albori, l'informazione passava dai quotidiani. Basti pensare che alla Bassano-Montegrappa di ciclismo per dilettanti dedicavamo anche quattro pagine.

Di lei giornalista ricorda qualche episodio in particolare?

Uno mi è rimasto nella memoria: tornavo da scuola, abitavo ad Angarano, e assistetti sul ponte della Vittoria a un episodio di cronaca nera. A casa avevamo il telefono, mi precipitai a chiamare la redazione e, naturalmente, quel giorno mi fu chiesto di correre e raccogliere quante più notizie potessi. Nel pomeriggio, quando l'Ansa aveva lanciato la notizia in tutta Italia, chiamarono i colleghi da "L'Ora" di Palermo chiedendo foto e pezzi. Così, corsi a telefonare all'amico Lino Manfrotto, fotografo, perché provvedesse. Finì che qualche settimana più tardi ci arrivò dalla Sicilia l'equivalente di diverse centinaia di euro di oggi. Chi aveva mai visto tanti soldi tutti insieme? E per un solo servizio, poi. Che soddisfazione.

All'amore per la notizia, lei aggiungeva quello per la grafica. In redazione centrale se ne accorsero?

Sì perché li chiamavo spesso Venezia per suggerire migliorie o per chiedere spiegazioni se qualcosa, a mio avviso, non andava. Avevano imparato a conoscermi e io che di ragioneria non mi sono mai occupato, divenni grafico sul campo e fondai un'azienda. In questo c'entra il Pick Bar. Che cos'era, a Bassano, negli anni '50 e '60? Il Pick Bar, del quale mi sono occupato in un libro di memorie pubblicato qualche anno fa, era ed è un locale del centro, in piazzotto Montevecchio. Al tempo era un ritrovo di pittori e scultori oltre a essere una galleria d'arte sui linguaggi contemporanei. Ai tavolini si potevano incrociare artisti come Bruno Breggion, Federico Bonaldi, Vito Pavan e il più internazionale di tutti, Natalino Andolfatto che risiedeva a Parigi e periodicamente tornava carico di racconti: si ritrovavano tutti lì e io con loro. Insieme al giornale, il Pick Bar è stato la mia università e lì ho appreso i segreti della grafica.

Grafica che la portò a scoprire anche i Remondini. Come avvenne l'incontro?

In città si teneva una piccola mostra alla cui vernice fui inviato per l'articolo. Tra i non numerosi presenti all'inaugurazione c'era anche il marchese Boso Roi, mai dimenticato arbitro di eleganza vicentino. La sua presenza mi fece capire l'importanza dell'evento, anche perché gli organizzatori si erano premurati di ricordare che i Remondini erano bassanesi e che le stampe in esposizione erano state realizzate in città qualche secolo prima. Ma il salto avvenne grazie all'arrivo al museo civico del direttore Bruno Passamani: fu lui, negli anni '70, a incoraggiarmi a riprodurre in quantità rilevanti i disegni che mi ero messo a studiare.

Che cosa le disse?

Che rimettere in circolazione stampe introvabili non sarebbe stato un plagio, ma un'operazione culturale di alto livello. Anche perché - aggiunse - ceramisti e mobilieri da sempre vivevano della riproduzione di oggetti del passato. Lo ascoltai e non potrò mai ringraziarlo abbastanza.

Una mostra e un direttore lungimirante: Giorgio Tassotti erede dei Remondini è nato così?

Sì, ma che fatica all'inizio. I soggetti sacro-popolari tipici dei Remondini, fino agli anni '80, non che avessero proprio un gran mercato. Questo anche perché i potenziali acquirenti preferivano i poster moderni con le modelle (ride, ndr). Non mi persi d'animo e girai di fiera in fiera, finché le cose non cominciarono ad andare per il verso giusto. Poi, nel 1985 presi una decisione cruciale.

Quale decisione?

D'accordo con la mia famiglia puntammo a specializzarci, lavorando per noi, non più per una committenza. Volevamo che i nostri prodotti fossero immediatamente identificabili per la qualità e la passione artigiana. Direi che è andata più che bene. Con Giorgio Pegoraro, direttore dell'Istituto italiano di Cultura a Stoccarda e, in seguito, assessore alla cultura in città con il sindaco Gianpaolo Bizzotto fui ospite a una mostra nel Tesino terra d'origine dei Remondini: Pegoraro, che mi vide tra il pubblico, volle citare il nostro lavoro nel promuovere l'arte della stampa. Ricordo anche che portai una delegazione bassanese al museo delle arti popolari, a Berlino. Scoprimmo che un salone di 200 metri quadri era dedicato solo ai Remondini. E trovai il mio nome inserito nell'elenco di coloro che avevano contribuito a conservare la memoria di questa famiglia che per due secoli aveva fatto scuola in Europa. Mi commossi.

Continua, oggi, a occuparsi di stampe?

L'azienda ora è condotta da mia figlia Nicole, ma non passa giorno che io non sia al lavoro. Anzi, credo che sia proprio la passione che metto in ciò che faccio ad avermi permesso di raggiungere i 90 anni in salute. Ci occupiamo di grafica e carta di qualità, abbiamo nel mondo oltre tremila clienti e la soddisfazione di sapere che scrittori e scrittrici di professione non iniziano un romanzo se non hanno in mano un quaderno Tassotti. Le cose vanno bene.

Va tutto bene anche a Bassano?

Non parlatemene: la città è meravigliosa, ma quelle piazze ancora attraversate dalle auto. Possibile che non riusciamo a toglierle e a consegnare il centro ai pedoni? Anche i negozi lavorerebbero di più e meglio. Se, poi, penso che si costruiscono centri commerciali in stile "finto antico" e noi abbiamo un centro storico vero, verissimo... E abbiamo delle glorie artistiche come i Da Ponte, Canova e i Remondini, ai quali a rotazione bisognerebbe dedicare una mostra ogni anno. Ci sono cose da migliorare.

Nel frattempo si consola con la cucina?

Eh sì, un'altra mia grande passione. Da un quarantennio sono iscritto all'Accademia della cucina italiana e sono stato chiamato a valutare centinaia di locali. La buona tavola è convivialità e arte e in Italia, da sempre, le decisioni più importanti si prendono insieme a pranzo. Per questo mi spiace veder chiudere locali storici, com'è stato per il ristorante "Al Sole" nella mia Bassano, ma sono felice quando vedo qualche giovane che tenta la strada della ristorazione. Lo osservo, penso a me da ragazzo e gli auguro un'esistenza ricca di soddisfazioni come la mia.

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