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I due scrittori vicentini

Bepi De Marzi: «Rigoni Stern e Bedeschi, due alpini diversi»

di Bepi De Marzi
Entrambi hanno narrato la tragica ritirata dalla Russia in due libri di culto e abitato le valli del Chiampo. L'articolo di Bepi De Marzi

C’è la melodiosa, caratteristica, suggestiva e inimitabile cantilena veneta della Valle del Chiampo nei due libri che più di tutti hanno raccontato la tragica Ritirata di Russia. Giulio Bedeschi, autore di “Centomila gavette di ghiaccio” è nato proprio nella Città del Grifo alla fine di gennaio del 1915. Mario Rigoni Stern, che ha scritto “Il sergente nella neve”, ha lavorato in Arzignano per lunghi mesi, quasi in esilio, tra la fine degli Anni ’40 e l’inizio dei ’50.

Bedeschi, l'infanzia ad Arzignano

Bedeschi era figlio del direttore didattico venuto da Marradi in Romagna. C’è ancora la sua casa d’angolo che guarda dove c’erano I Broli, dove correva la copiosa, trasparente e preziosissima Roggia, dove nei suoi anni di bambino ha visto i soldati inglesi piantare le tende militari, soldati venuti a combattere e a morire con gli italiani nell’inutile massacro della Grande Guerra. «Erano sempre allegri, mangiavano tanta marmellata e cantavano anche di notte», scriverà in uno dei suoi rarissimi racconti. Il campanile di Ognissanti, l’elegante torre giottesca che si innalza nel cuore del paese, ha ancora le campane realizzate dai prodigiosi fonditori Cavadini di Verona: le cinque note possenti che Mario Rigoni Stern ha confidato più volte come «il suono che innamorava il cuore oltre le colline, oltre le montagne, oltre i miei ricordi di deportato, di sopravvissuto nella guerra».

«Ci hanno mandato in Russia, neanche Mussolini sapeva perché»

E in una sofferta conferenza a Solagna, nel Canale della Brenta, dirà «ci hanno mandati a invadere la Russia, ma nemmeno Mussolini, come ha scritto suo genero Ciano nel diario, ha mai saputo spiegare perché». E tornando a Bedeschi, c’è la drammatica conclusione del celeberrimo libro, stampato finalmente nel 1963 dopo anni e anni di rifiuti dei molti editori italiani, con la tremenda frase rivolta ai reduci della Ritirata, frase gridata da un ferroviere italiano al Passo del Brennero: “Che alpini o non alpini! Ma vi accorgete sì o no, Cristo, che fate schifo?”.

Gli stili di Rigoni Stern e Bedeschi

Comparare le due opere letterarie, i due capolavori, significa entrare negli stili personali generati anche dall’atmosfera arzignanese mai raccontata del tutto. Mario Rigoni Stern era stato trasferito dall’ufficio del Catasto di Asiago a quello di Arzignano per ragioni vagamente politiche. Nelle sere andava nella mensa della grande Officina Pellizzari dove la signora Clelia Tonin gli offriva un poco del mangiare preparato a mezzogiorno per i quasi duemila dipendenti. E rimaneva ad ascoltare le prove musicali della nascente orchestra della “Scuola Antonio Vivaldi” inventata da Antonio, “il figlio di Giacomo, el Parón”. Scopriva per la prima volta Bach, Mozart, Beethoven, ma soprattutto Vivaldi; e intanto ordinava appunti e si appressava al completamento della stesura de “Il sergente nella neve” che nel 1953 sarebbe stato proposto da Einaudi con un successo commovente e immenso, anche internazionale. Giulio Bedeschi, negli stessi mesi, stava con la famiglia non molto lontano da Arzignano. Il fratello Beppe, che era stato anch’egli in Russia, svolgeva nell’Officina e nella Scuola il delicato ruolo di collaboratore e segretario organizzativo. Frequenti erano gli incontri, anche con i reduci arzignanesi mentre riscriveva il suo libro “Centomila gavette di ghiaccio” perduto nell’alluvione del 1951 mentre faceva il medico in Polesine.

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