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L'intervista

Alan Friedman: «Ora è l’Europa il baluardo dei diritti umani e civili»

Alan Friedman (New York, 1956) giornalista statunitense. È editorialista de La Stampa
Alan Friedman (New York, 1956) giornalista statunitense. È editorialista de La Stampa
Alan Friedman (New York, 1956) giornalista statunitense. È editorialista de La Stampa
Alan Friedman (New York, 1956) giornalista statunitense. È editorialista de La Stampa

Parafrasando George Marshall, negli ultimi anni «le condizioni sono state anormali». Prima una pandemia e poi la guerra «hanno inghiottito tutti gli aspetti delle economie nazionali». Il rimedio? Lo suggerisce lo stesso Marshall, in occasione del celebre discorso del 1947 all’Università di Harvard, in cui annuncia la decisione di avviare un vasto piano di aiuti economici rivolto ai paesi europei: «Spezzare il circolo vizioso e dare alle popolazioni europee la fiducia nell’avvenire economico dei loro paesi».

Un intervento dello stesso tenore è stato pronunciato in chiave nazionale esattamente un anno fa da Mario Draghi, che ha più volte sottolineato come per «investimenti e riforme del nostro Piano serva un’Italia unita nel desiderio di tornare a crescere e credere nel suo futuro». Un significativo parallelo che non si esaurisce con i virgolettati. L’Italia, infatti, ricevette con il Piano Marshall 1,5 miliardi di dollari, paragonabili oggi a 164 miliardi di euro, non troppo distanti dai 209 del Recovery Fund, orientati acume dall’allora governatore della Banca d’Italia e ministro del bilancio, Luigi Einaudi, che affrontò di petto il problema dell’inflazione e il contenimento della spesa pubblica, recuperando così la fiducia dei mercati e gettando le fondamenta del «miracolo economico». Quest’ultimo tanto auspicato con l’arrivo di Draghi, ma che con la guerra in Ucraina e la crisi energetica, che hanno dimezzato la crescita per il 2022 da 4,7 per cento a 2,3 per cento, risulta sempre più utopico.

Ecco perché «ancora più di quando è stato previsto» (nel 2021, per rilanciare l'economia dopo la pandemia) il Pnrr rappresenta «l’occasione del secolo che - però - l’Italia rischia di sprecare». È il monito che si legge nel sottotitolo dell’ultimo libro di Alan Friedman, “Il prezzo del futuro” (La nave di Teseo, 512 pagine).«Un libro intelligente che non esige specializzazioni», l'ha definito Romano Prodi, per Friedman l'unico ad aver «gestito l'economia con un certo successo e portato a casa una manciata di riforme».

Il giornalista statunitense ne parlerà sempre alle 21 il 30 giugno a Barbarano Mossano, a villa Rigon per la rassegna Villeggendo, e l’1 luglio a Sandrigo, a villa Sesso Schiavo, per le Serate d'Autore della libreria Giunti al Punto di Asiago. Una (doppia) occasione per ascoltare un’analisi della parabola economica dell’Italia delle ultime decadi di uno dei più autorevoli osservatori del Belpaese «innamorato dell’Italia» e per questo preoccupato dal dopo-Draghi. Non a caso, al culmine della sua trattazione, Friedman colloca i rischi che potrebbero mettere a repentaglio l'intero Pnrr, su tutti il «rischio politico».

Friedman, da qui alle elezioni del 2023 lei ha paventato “il giorno della marmotta”, un teatrino al quale saremo destinati ad assistere ad ogni riforma?
Gli italiani devono essere consapevoli delle opportunità che esistono grazie alla leadership di Draghi e ai soldi del Pnrr. Per erogare quei fondi sono necessarie le riforme, che troveranno l’opposizione dei partiti più populisti, che cercheranno di fare rumore e piantare la loro bandierina sulle riforme. A Bruxelles sono consapevoli degli ostacoli dovuti all’egoismo dei leader più populisti da Salvini a Conte, ma chiudono gli occhi perché contano sulla capacità di Draghi di spingere la classe politica e forzare la mano: le riforme vanno fatte.

Questo governo a larghissime intese non può fare nulla di “incisivo”...
Purtroppo saranno riforme annacquate, non incisive, ma avere un “patchwork” di riforme è sempre meglio che non farle, perché assicura all’Italia i fondi del Pnrr che con la guerra e la crisi energetica sono più importanti di prima, per evitare la recessione l’anno prossimo e per salvare l’economia nei prossimi anni.

I missili russi contro Kiev in concomitanza con il G7?
Non possiamo permetterci un mondo dove la forza determina tutto. Se non difendiamo l’Ucraina, Putin arriverà alla Transnistria e poi alla Moldavia. Putin ha dichiarato guerra ai valori delle democrazie europee. Non è una guerra dell’America contro Putin, ma di Putin contro l’Occidente. E in questo momento storico in cui la destra estrema in America esulta per avere reso l’aborto illegale, l’Europa è l’ultimo baluardo dei diritti umani e civili. L’America, sia chiaro, non lo è più: va verso il medioevo, verso gli Anni Cinquanta.

Ha tratteggiato un ritratto impietoso degli Stati Uniti, paventando anche un “modello Orban”. 
In America abbiamo un paese spaccato. È probabile che nel Midterm Elections di novembre Biden perda il controllo sia del Senato che della Camera. In questo momento c’è il 50 per cento di possibilità che la destra sociale dei razzisti, suprematisti bianchi, antiabortisti, della lobby delle armi, riesca a rieleggere Trump o uno peggio di lui, come il governatore della Florida, DeSantis, che si posiziona ancora più a destra. Tra i repubblicani verrà fuori uno antieuropeo, anti Nato, pro Putin.

La collocazione dell’Italia, in Europa e nel mondo, e il ruolo di Draghi in questa fase sono fondamentali.
Biden è in difficoltà. In Francia, dopo la frammentazione del voto e il trionfo di estremismo e antieuropeismo, Macron è più distratto e impaurito. In Germania, Scholz, che non è la Merkel, non è un forte leader europeo. Boris Johnson no comment. L’Italia in questo momento ha l’unico statista vero in Europa e i politici cosa fanno? Cercano di farlo fuori.

Dario Pregnolato

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