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Bruno Frigo

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La mattina del 27, nella valle di Campiello, due soldati russo-ucraìni di guardia al ponte aggrediscono il casello n.13 della linea ferroviaria, credendola covo di partigiani; la famiglia all’interno si ripara come può ed il figlio Bruno viene sfiorato per pochi centimetri dalle pallottole. Decidono di portarsi ai Cavrari nella casa paterna, qui trovano il cugino Mario Frigo 1918 in visita. Questo è uno stralcio della sua copiosa testimonianza scritta: …la sparatoria sentiamo che si avvicina anche a Treschè Cesuna. Mario pensava al pericolo per la sua famiglia a casa senza di lui, è inquieto, e sale al piano di sopra, da dove può vedere la sua abitazione (attuale officina Stella). Vede che sfondano le finestre di casa sua, è nervoso, vorrebbe tornare a casa in soccorso della moglie e dei figlioletti, ma la sparatoria glielo impedisce. La porta viene presa a calci: “aprite!, aprite! qui partigiani sparare!” Salgono al piano superiore (avevano visto Mario affacciarsi). Io e Giovannina, la sorella di Mario mia coetanea gridiamo:”non c’è nessuno di sopra!” Mia madre con uno spintone mi spinge in stalla. Mario preoccupato vuole correre dalla famiglia ed esce fuori con le mani alzate (la destra monca in seguito allo scoppio di un ordigno della prima guerra mondiale), anche per far vedere la mutilazione. Il tedesco di fuori lo blocca e l’altro scende e lo portano via; difronte vedo la stalla dell’Osteria ai Tre Garofani che brucia...Bruno sente ancora delle raffiche dietro casa, è intontito e scioccato dalle troppe emozioni della giornata; arriva Vittoria, la moglie di Mario, con i due figlioletti piangenti in cerca del marito. Si pensa sia stato portati via come ostaggo-scudo …Ad un tratto vedo Nini Frigo che sostiene per un braccio Vincenzo Ceci. Lui tiene la mano sinistra appoggiata alla guancia e con la mano destra sostiene il gomito di quella sinistra. Dalla testa alla spalla e all’anca sinistra è tutto insanguinato… sempre dal bivio arriva anche Giacinto, fratello di Mario, il suo aspetto non è rassicurante. Luigino gli corre incontro”zio!, zio! gheto visto me papà?”. Giacinto lo prende in braccio, lo stringe al petto e incomincia a singhiozzare senza dire una parola. Capisco tutto e corro dentro casa per non essere solo quando Giacinto arriverà. La disperazione ci prende tutti, e ancor più la moglie Vittoria, che in quel momento sta allattando il figlio Renato. Quel giorno e i giorni sucessivi tutti gli uomini scapparono dal paese per paura che arrivassero altre colonne tedesche. Solo le donne rimasero in paese e da sole dovettero darsi da fare per dare una dignitosa sepoltura alle vittime.

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