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LA MEMORIA.

Arnaldi, il giovane giusto

Cent'anni fa nasceva a Dueville uno dei tre vicentini menzionati nello Yad Vashem a Gerusalemme dove si “rivive” il dolore della Shoa
Il viale dello Yad Vashem a Gerusalemme, dove ci sono gli alberi e i nomi dei Giusti tra le Nazioni
Il viale dello Yad Vashem a Gerusalemme, dove ci sono gli alberi e i nomi dei Giusti tra le Nazioni
Il viale dello Yad Vashem a Gerusalemme, dove ci sono gli alberi e i nomi dei Giusti tra le Nazioni
Il viale dello Yad Vashem a Gerusalemme, dove ci sono gli alberi e i nomi dei Giusti tra le Nazioni

I Giusti tra le Nazioni, onorati dal popolo d'Israele e dalla storia, furono i pochi che - differentemente dai non pochi attuatori materiali dell'Olocausto, dai molti collaboratori dei nazisti sterminatori e dalla massa di chi assisteva non volendo sapere - stettero dalla parte delle vittime. Non-ebrei che agirono secondo i più nobili principi di umanità rischiando le loro vite per salvare anche un solo ebreo: è la definizione, tratta dalla tradizione del Talmud ebraico, che li descrive a Yad Vashem, il memoriale della Shoah sulle colline di Gerusalemme.
A loro sono intitolati gli alberi di un commovente Giardino, simbolici carrubi che fruttificano per decenni. I loro nomi sono allineati su lapidi che sommano quasi 25 mila testimonianze di coraggio in tutta Europa: 563 sono italiani. Il dossier numero 2456 dei Giusti di Yad Vashem parla di Rinaldo Arnaldi. Era nato a Dueville nel 1914, cent'anni fa, figlio di un segretario comunale di cultura cattolico-liberale che con il fascismo andava poco d'accordo e che per questo veniva destinato in municipi periferici del Vicentino. Si era laureato in Economia a Venezia nel 1940, anno dell'entrata in guerra dell'Italia. Quando era stato firmato l'armistizio con gli Alleati (8 settembre 1943), era sottufficiale carrista, e anche lui era finito travolto nella dissoluzione dell'esercito.
Arnaldi aveva però rifiutato sia la passività dell'attendismo sia l'adesione alla Repubblica sociale mussoliniana, schieratasi con i tedeschi occupanti del Centro-Nord. Fallito un tentativo di scendere al Sud e di passare le linee per raggiungere gli anglo-americani, già nell'autunno del '43 era stato tra i primi a darsi alla macchia sopra Thiene.
Nell'inverno verso il 1944 aveva avviato l'inquadramento dei giovani che rifiutavano di tornare in divisa con i fascisti. Tra le prime azioni in clandestinità - con a fianco la sorella Mary, cent'anni fatti nel 2012, e insieme con il recoarese Gino Soldà alpinista già famoso - ci furono gli espatri lungo la via per la Svizzera. Oltre a militari italiani e alleati, Arnaldi condusse oltreconfine una famiglia di ebrei in cerca di scampo dalle retate di tedeschi e collaborazionisti italiani. A essere salvati furono Alexander, Oscar e Agnes Klein (lei incinta), scappati da Vienna e nascostisi fortunosamente fino a quel momento.
Per quest'ultimo episodio testimoniato da don Antonio Frigo, sacerdote che dal Seminario seguiva la piccola rete di assistenza legata alle parrocchie, quasi quarant'anni dopo, nel giugno 1983, Arnaldi fu riconosciuto Giusto tra le Nazioni. Per il suo ruolo-guida nella Resistenza della Pedemontana e per la morte in combattimento a fine estate del 1944, raccontati nel 1947 dalla sorella Mimma (“Rinaldo Arnaldi e la via della gloria”), gli era stata riconosciuta nel dopoguerra la medaglia d'oro.
Con l'obiettivo di dare sostanza e organizzazione ai gruppetti clandestini sparsi tra i colli di Fara e Lugo e i contrafforti dell'Altopiano, nella primavera del '44 Arnaldi era stato uno dei fondatori della brigata Mazzini, in una riunione nell'allora Collegio Vescovile di Thiene. Il suo nome di battaglia era “Loris”: lo avrebbero assunto, dopo la sua morte, anche un altro importante capo partigiano, l'amico Giacomo Chilesotti poi ucciso alla vigilia della Liberazione, e una brigata partigiana attiva intorno a Dueville.
Questo l'epilogo delle breve e intensa attività resistenziale di Rinaldi. 6 settembre '44: nel quadro di una serie di rastrellamenti anti-partigiani nell'area montana vicentina - in seguito a interruzioni stradali e danneggiamenti delle linee telefoniche ed elettriche - i tedeschi lanciano l'operazione “Hannover”. Vengono stretti a tenaglia gli accampamenti clandestini sul margine sud dell'Altopiano, dove ci sono più uomini che armi. Diversamente che in altre occasioni, i comandanti partigiani accettano lo scontro diretto, anche per proteggere la fuga dei meno esperti e dei non armati.
È una battaglia vera e propria, tra gli abeti del Bosco Nero dove la Barenthal sbuca nella piana di Granezza. Da una parte la Wehrmacht con il supporto dei fascisti della Brigata nera “Faggion” di Vicenza e della legione “Tagliamento” della Guardia repubblicana. Dall'altra qualche centinaio di giovani poco addestrati dei battaglioni “Sette Comuni” e “Testolin-Mazzini”. Forze impari e destino segnato: 22 sono i morti partigiani e inoltre vengono fucilati 14 autisti italiani disertori dall'organizzazione paramilitare Speer. Tra i caduti di quel giorno anche Rinaldo Arnaldi.

Antonio Trentin

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