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Area Cotorossi, intervista a Nunes
«Ci sarà più verde. Critiche sbagliate»

L'INTERVISTA. Joao Nunes è il paesaggista che ha lavorato con Byrne. «Con l'urbanistica non c'entriamo, quella è di Comune e committenti. L'architettura qui ha rifatto un primo progetto che scordava il luogo»
Una proiezione dell'esito finale del progetto Byrne-Nunes sulla penisola del Cotorossi tra i due fiumi
Una proiezione dell'esito finale del progetto Byrne-Nunes sulla penisola del Cotorossi tra i due fiumi
Una proiezione dell'esito finale del progetto Byrne-Nunes sulla penisola del Cotorossi tra i due fiumi
Una proiezione dell'esito finale del progetto Byrne-Nunes sulla penisola del Cotorossi tra i due fiumi

Joao Ferreira Nunes, 52 anni, architetto e paesaggista di Lisbona, tre studi internazionali e sei cattedre universitarie tra Portogallo e Italia fa lezione fino a sabato ai giovani berici in un loft allestito in Basilica. Quale sguardo migliore? «Effettivamente unico» conviene Nunes che in camicione e infradito parla di ri-generazione di tre zone cittadine. Gli fanno leggere l'attacco - a lui e al collega Gonzalo Byrne - del gruppo di associazioni Osservatorio urbano sul progetto Cotorossi definito colata di cemento: «Un'offesa invitarli a Vicenza» si legge.
Parliamo di quello che state facendo in questi giorni?
Se uso il sarcasmo direi che sto insegnando a questi ragazzi a distruggere un altro pezzo della città, ci stiamo impegnando molto, siamo bravissimi.
Per favore mi spieghi cosa significa “progettare l'attesa”, lo slogan di questo laboratorio.
Stiamo esaminando tre zone considerando gli spazi non solo nel rapporto tra pieni e vuoti ma come consegunza dei contesti sociali ed economici che hanno portato tracce diverse. È questo che costruisce il cambiamento di una città, analizziamo la persistenza di una cosa sull'altra, ciò che diventa immobile per l'affetto di chi vi abita, guardiamo agli spazi con quel livello di compromesso utile a sostenere un cambiamento. L'instabilità deve tener conto della vocazione di un'area, della sua storia: si possono proporre forme temporanee come orti, luoghi di incontro, parchi prima di parlare di una cascata di cambiamenti.
Nelle periferie meglio raccordi che tabula rasa?
Tutto il paesaggio è fatto oggi di raccordi tra passato e futuro: il presente non può essere l'arrogante opportunità di descrivere il mondo o di rifondarlo, semmai può dire solo di una coerenza tra ieri e oggi. La vita di una città è una logica di continuità senza rinnegare quello che c'era: anche se si butta giù tutto, si deve fare i conti con una morfologia e prima ancora con la geologia.  In luoghi fortemente edificato come il Mercato o lo stadio... Servono incontro, sociabilità, nel primo caso anche per le molte presenze etniche. Luoghi che rispondano a flessibilità diverse di fruizione di spazi pubblici aperti. Questa miscela è una enorme opportunità.
Ogni architetto pensa di dover fare qualcosa di immortale. Gli edifici di Byrne entreranno nella storia dell'architttura?
Chi può dirlo....

I particolari nel Giornale in edicola

Nicoletta Martelletto

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