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SCHIO

«Il Palazzo dei Canarini e la vita di una volta»

Per un vecchio di 83 anni oggi il modo più facile, e forse unico, per girare il mondo è usare il computer.

Per un vecchio di 83 anni oggi il modo più facile, e forse unico, per girare il mondo è usare il computer. Naturalmente ogni tanto si ritorna a visitare la casa, la prima scuola, l'oratorio, i luoghi dell'infanzia, dell'adolescenza, delle prime vittorie nella vita e inevitabili delusioni.
Da Verona dove vivo da diversi anni torno a Schio, dove sono nato in via Mazzini, all'oratorio salesiano mia seconda casa (don Uguccioni), alla vecchia scuola di via porta di Sotto (maestra Virano) e poi in quella di via Marconi (maestro Perin), alla chiesetta di San Giacomo dove per qualche anno alle sei di ogni mattina servivo messa per l'indimenticabile don Agostino Battistella, torno in via Pasubio alla sede del Pci (giovane comunista) e, ovviamente, non per nostalgia, alle carceri via Baratto dove sono finito a 17 anni e dove sono stato fornito di un ricco materasso (paglione) e di tavolaccio che mostrava ancora i buchi e le macchie di sangue, ricordi di quel tragico fatto per cui Schio è diventata celebre nel mondo intero.
Così, navigando, Google mi ha portato in via Mazzini, ai Canarini. A questo punto un vecchio di 83 anni, con una vita tormentosa e tormentata, rotto a tutto, come si usa dire, è rimasto meravigliosamente stupito. Sono nato e abitavo quattro porte più a destra del portone di quella che era una “Corte dei miracoli”. Al piano terra, con finestre e ingresso dalla strada c'era Bocchi (strasse, ossi e fero vecio). Nel cortile abitavano famiglie di tutti i tipi, ricche di miseria e di problemi di sopravvivenza: la famiglia S. (ultima in fondo a sinistra) viveva di accattonaggio visitando le sagre ed i mercati del mandamento. Mio fratello Bruno (anno 1920), poi paracadutista ad El Alamein, era un capetto della banda dei canarini.
Di fronte al portone dei Canarini c'era il panettiere Zanandrea e Angelo era il mio unico amico. Otto porte più avanti abitava la Polastrara. Due porte ancora Anna la rossa con la zia che vendeva qualche litro di latte ai disperati che potevano permetterselo. Gli unici edifici che davano segno di civiltà era la casa dell'ing.Griso e quella dell'ing.Greselin con i suoi 5 figli (portone adiacente al palazzo dei Canarini).
Via Mazzini era una strada acciottolata ove l'unico traffico su ruote era qualche bicicletta, forse rubata, e i carri con i cavalli la cui stazione di posta era in fondo alla via. Di fronte c'era la caserma della Finanza e la colonnina pubblica dell'acqua per le molte (quasi tutte) famiglie prive di rubinetto interno. I cavalli lasciavano generosamente i loro ricordi per la strada e mia madre, come altre signore (allora non si usava questo vocabolo) li raccoglievano per concimare i vasi di gerani. Oltre alla panetteria Zanandrea esisteva una piccola bottega di salumaio (casolin) del Signor Bologna.
E adesso? Alla corte dei miracoli è avvenuto il miracolo. Bravi i ragazzi e i non ragazzi che hanno fatto un lavoro impensabile ripetendo la fiaba di Cenerentola che diventa principessa. Complimenti a chi ha voluto e compiuto questa meravigliosa metamorfosi di ritorno ad un passato ormai dimenticato.
Auguri, con la speranza che Cenerentola nella sua rinnovata bellezza non si dimentichi di quando era povera, piena di fame, ma piena di una umanità pulsante e di voglia di vivere.
Sergio Dall'Osto

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