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L'anniversario

Un pellegrinaggio sul Pasubio: 100 anni fa aprì il rifugio Papa

È il 2 luglio del 1922, esattamente cento anni fa. A Porte del Pasubio, alle 9 del mattino è in programma l’inaugurazione del rifugio alpino del CAI di Schio, una piccola e sobria costruzione, sette metri per sette appena. Sorge però proprio al centro di quella che solo quattro anni prima era una piccola città della guerra, una sorta di centro logistico del Pasubio, nata nelle immediate retrovie del fronte. 
“El Milanin del Pasübi”, l’aveva chiamata scherzosamente il generale Papa, che ci viveva, in una lettera alla famiglia. Per quanto la città fosse, nel 1922, ormai in rovina, ne sono ancora ben visibili i resti: certi muri in pietra, di case, i tanti terrazzamenti per le baracche e i lunghi muri a secco di sostegno, alcuni imbocchi di caverne e gallerie e poi tutto in un intersecarsi di stradine e sentieri, di scale e scalette in pietra. 
Ma è proprio lì che il CAI di Schio ha voluto costruire il suo rifugio alpino, su una casa dei soldati, una scelta fortemente simbolica, di adozione del Pasubio da parte di tutta una città, Schio, e dei paesi delle valli. 
Un segno di vicinanza e di rispetto, anche di riparazione per la sofferenza che era stata lassù: una casa della guerra mantenuta viva per proteggerne la memoria. 
Nelle fotografie scattate l’ultimo anno della guerra, quella casa la possiamo riconoscere con facilità: è la più luminosa, la più solida. 
Il CAI ne ha solo appena alzato il tetto e girate le falde, dandogli la forma di baita alpina. Sulla facciata in alto, scritto a grandi lettere su due tavole di legno, si legge CAI e Rifugio Pasubio. È il primo embrione di quello che, ampliato via via nel corso degli anni, noi tutti conosciamo oggi come il Rifugio Papa.
Quel giorno, per l’inaugurazione, sono state fra le tre e le quattromila – un numero enorme, superiore a ogni aspettativa –, le persone che sono accorse in Pasubio. Il CAI di Schio, per la giornata del suo rifugio aveva lanciato l’idea di un vero e proprio pellegrinaggio.
Un’idea anche questa forte, ma anche uno sforzo organizzativo enorme, in un’epoca in cui andare in montagna era una cosa assolutamente nuova e solo per portare i partecipanti all’attacco dei sentieri bisognava predisporre tutto un servizio di mezzi collettivi – un’intera colonna di torpedoni, partenza alle tre di notte dalla piazza del Duomo a Schio – ma anche prevedere l’ospitalità, la notte precedente, per i tantissimi che venivano da fuori. 
Nel programma della giornata, all’inaugurazione vera e propria sarebbe seguita la celebrazione di una messa al cimitero di guerra di Sette Croci (oggi noi lo conosciamo come cimitero della Brigata Liguria, il luogo dove dal 1935 sorge l’Arco Romano). Un pellegrinaggio, appunto.
Abbiamo, di quella giornata, oltre ad alcuni resoconti apparsi sui giornali, la testimonianza diretta di un partecipante, il maestro elementare di Posina, Giuseppe Ceruti, da un suo diario: “1-2 luglio 1922. Nel pomeriggio di sabato, Schio cominciò ad accorgersi dell’imponenza che cominciava ad assumere il pellegrinaggio al Pasubio, promosso dalla sezione del Club Alpino. Passavano rombando automobili, motociclette, sidecars, di comitive isolate; brevi inchieste alle porte degli alberghi, tutti zeppi, e via a cercare alloggio più in su, a Torrebelvicino, a Valli dei Signori, a Recoaro.
La notte fu animatissima: una notte di vigilia. Quando si affacciò l’alba cominciò l’esodo verso la montagna.
La colonna, per così dire ufficiale, forte di un migliaio di pellegrini, lasciò Schio alle 3 di domenica con una trentina di autoveicoli. A Dolomiti (dove inizia il sentiero di Val Canale, ndc) s’era già raccolto qualche centinaio di persone giunte da Vallarsa e da Recoaro. Tutte le strade del Pasubio cominciarono a punteggiare di carovane salenti attraverso i valloni ancora immersi nell’ombra; s’incrociavano richiami fra comitiva e comitiva. Alle Porte di Pasubio, a 2000 metri, sorgeva, durante la guerra una città strana, una città di pietra e di legno. Era lo scalo di rifornimenti di tutte le nostre linee. Scendere alle “Porte di Pasubio” dalle trincee che distavano mezz’ora, era riprendere quasi contatto col mondo civile. Oggi a Porte Pasubio sorge il Rifugio del Club Alpino di Schio, semplice l’ospizio in muratura, intonacato di rosa …”. 
Ma sono alcune fotografie quelle che, soprattutto, riescono a trasmetterci, e in un solo colpo d’occhio, quello che è stato quel giorno. 
Da un lato l’ enormità della folla accorsa, e dall’altro il senso epico e insieme religioso che quella folla esprime. Sia quando si raccoglie ai lati del rifugio per la sua inaugurazione, sia quando, subito dopo, comincia ad avviarsi verso Sette Croci. 
Ci fanno anche capire, queste fotografie, quanto fosse forte, finita la guerra, il bisogno di salire in questi luoghi, di rendersi conto, anche di stringersi insieme.
C’era qualcosa di forte, quel giorno, che univa quelle persone, lo si sente: quella folla si sta muovendo sulla montagna come fosse all’interno di una chiesa. 

 

Claudio Rigon

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