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Vicenza

Cantiere bloccato
Cadaveri in fila
lungo il corridoio

di Franco Pepe
Il cancello d’ingresso alle celle mortuarie dell’ospedale San Bortolo
Il cancello d’ingresso alle celle mortuarie dell’ospedale San Bortolo
Vicenza, obitorio salme in corridoio

VICENZA. I cadaveri allineati in un corridoio. In attesa della vestizione prima di essere esposti nelle celle dell’obitorio, o in sosta prima dell’autopsia. Una visione macabra. Una narrazione dolorosa. Storie di corpi anonimi chiuse nel gelo impenetrabile della morte a contatto con la vita indifferente. Le salme sono a contatto con un laboratorio dove fino a qualche giorno fa lavoravano tecnici dell’anatomia patologica davanti a microscopi e provette. È il corridoio della vergogna. Come se ne vedono in alcuni ospedali medievali del Burundi o della Siria devastata da una guerra interminabile. Cadaveri in corsia, con l’ombra di Caronte in agguato, senza gli epitaffi di Spoon River e le voci di Edgar Lee Masters. Una provvisoria fossa comune a cielo coperto, ingombra di corpi semi-nudi, non degna di un ospedale come il San Bortolo. Una situazione che ora, finalmente, il direttore generale Giovanni Pavesi - a caccia, da quando a gennaio si è insediato a Vicenza, di tutti i punti neri più o meno nascosti o dimenticati dell’ospedale - vuole cancellare. «Basta con questa situazione».

Così la stanza dei tecnici è stata subito svuotata. Ora, almeno, non si lavora e non si passa più vicino a cari estinti ancora da seppellire. Ragioni di igiene. Bisogno di dignità. Il tempo qui si è fermato. Nel secolo scorso i morti passavano per questa corsia in mezzo a medici, biologi e tecnici. Oggi il viaggio si ripete fra miasmi nauseabondi che impregnano le pareti. L’edificio vecchio, stretto e compresso, privo di collegamenti interni, che ospita l’anatomia patologica, rimane un girone infernale, un habitat da quarto mondo, in contrasto con il reparto, diretto dal primario Emanuele D’Amore, che rappresenta, fuori da proclami e palcoscenici, una delle eccellenze del San Bortolo, un punto di riferimento essenziale per diagnosi e terapie in campo istologico, citologico ed ultrastrutturale, nelle campagne di screening oncologici. Il posto è lo stesso, da catacombe, di 50 anni fa, alle spalle delle camere mortuarie. Un ibrido in cui convivono vetrini e celle frigorifere. D’Amore e i suoi collaboratori si sono abituati, ma per chi vi ritorna la sensazione è sempre sconcertante. «La nefrologia è il Veneto – sussurra il primario -. Questa è l’Africa». Il fatto è che i lavori per trasferire l’anatomia patologica nell’edificio di fronte dalla facciata giallo-asburgico non finiscono mai. La parte interna è stata ristrutturata, ma l’interno resta al grezzo. I lavori sono iniziati 5 anni fa, ma poi il cantiere si è fermato per un anno dopo il rinvenimento negli scavi di decine di scheletri di un antico cimitero. Così la previsione di traslocare nella nuova casa entro il 2014, è slittata. L’ex dg Angonese aveva promesso di compiere la missione entro il 2015. Ma realisticamente se ne parlerà forse per il 2019. Colpa di un progetto faraonico da 10 milioni arenatosi sui tavoli veneziani, mentre ora si è scoperto che con un disegno logistico più contenuto ma funzionale da 500 mila euro si può rifare tutto. Pavesi, comunque, non accetta più ritardi e tempi lunghi. Una sala dell’anatomia è stata spostata nell’attigua sezione della medicina necroscopica. Le cappe dell’aerazione sono state rinnovate. Gli impianti adesso sono tutti a norma. Gli odori pungenti da fogna, qualche volta da topi in libera uscita, non si sentono più. Sono miracolosamente scomparse le macchie di umido e non piove più dentro. «L’intenzione – spiega l’ingegnere capo Antonio Nardella – è di concentrare qui la medicina legale. Si faranno solo autopsie. Si ricaverà una seconda sala autoptica». Insomma, non più passaggi angusti, ambienti lillipuziani, colori consunti, penombre diffuse da sottomarino alla deriva adagiato sul fondo dell’oceano. Ma un paesaggio decoroso anche per chi muore.

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