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Violenze a Campo Marzo
Al processo in barella
I due rivali sono già liberi

L’arrivo in barella al palazzo di giustizia di uno dei due imputati, Igene. A sinistra l’altro, Raheen
L’arrivo in barella al palazzo di giustizia di uno dei due imputati, Igene. A sinistra l’altro, Raheen
L’arrivo in barella al palazzo di giustizia di uno dei due imputati, Igene. A sinistra l’altro, Raheen
L’arrivo in barella al palazzo di giustizia di uno dei due imputati, Igene. A sinistra l’altro, Raheen

La scena è tutt’altro che frequente in tribunale. Un imputato è arrivato a palazzo di giustizia, scortato dalla polizia, con un braccio al collo; l’altro, quasi un’ora dopo, in barella, accompagnato dagli infermieri del Suem, ed ha partecipato all’udienza steso sul lettino. Gli arresti dei due nigeriani, protagonisti dell’ennesimo accoltellamento a Campo Marzo, che ha scatenato le reazioni della politica, sono stati convalidati dal giudice Camilla Amedoro, che li ha però poi rimessi in libertà. La legge non prevede la carcerazione preventiva per le lesioni aggravate. Affronteranno il processo per direttissima l’11 settembre prossimo, e nel frattempo dovranno presentarsi tutti i giorni in questura a firmare.

IL PROCESSO. I cittadini nigeriani Joshua Igene, 23 anni, disoccupato, che vive in città ospitato dalla fidanzata, e Acho Raheen, 36, senza fissa dimora, avevano dato vita ad una scena di violenza inaudita, sabato pomeriggio, in viale Roma, in mezzo alla gente, fra coltelli e cocci di bottiglia. I due erano stati soccorsi e poi arrestati da volanti e polizia ferroviaria, prima dell’intervento di squadra mobile e scientifica. Ieri il pubblico ministero Pipeschi, presente in aula, aveva chiesto la cella per entrambi; ma le lesioni subite vedono una prognosi di 25 giorni, e quindi non sono ritenute gravi, ma aggravate dall’uso delle armi. Le difese, con gli avv. Giuseppe Viggiani e Rachele Nicolin (per Igene) e Andrea Bertollo (per Raheen) avevano chiesto la liberazione, ottenendola. Igene è arrivato, dopo aver subito un intervento chirurgico ad un ginocchio, sedato; non ha aperto bocca in aula, assistendo dalla barella, con a fianco agenti e sanitari. Al termine dell’udienza, durata oltre tre ore, è ritornato in ospedale.

LO SPACCIO. Le ragioni della baruffa finita nel sangue non sono state chiarite. Raheen ha cercato di difendersi, spiegando al giudice di essere stato aggredito da Igene. «Voleva coinvolgermi in attività illecite, in particolare nello spaccio di droga - è stato il suo ragionamento -. Io mi sono rifiutato e lui mi ha aggredito». Lo stesso nigeriano ha poi ammesso di aver reagito con violenza, per difendersi, lasciando il connazionale a terra, sanguinante. Nella ricostruzione della procura Raheen ha poi fermato un’auto, minacciando il conducente. «Non è vero, avevo paura della reazione degli amici di Igene e ho chiesto all’automobilista di proteggermi e di portarmi in questura a chiedere aiuto». Gli agenti lo hanno catturato prima, sanguinante. Per le difese, che hanno chiesto tempo per valutare la posizione degli imputati, il carcere sarebbe stato sproporzionato alle accuse, e il tribunale ha accolto questa tesi. Raheen è uscito dal palazzo di giustizia con le sue gambe; Igene, in ambulanza, è rientrato al San Bortolo. Le indagini su quanto accaduto sabato comunque procedono, per fare piena chiarezza.

«PIÙ AGENTI».

E mentre dal centrodestra più voci invocano l’utilizzo dell’esercito a Campo Marzo, il sindacato di polizia Siulp prova a smorzare i toni. «Credo che sia opportuno tornare al 14 luglio - commenta il segretario provinciale Orazio Bedin - quando i deputati vicentini di tutti gli orientamenti politici con una lettera congiunta hanno chiesto al governo di rimpolpare gli organici delle forze di polizia in provincia. Questo darebbe una sicurezza reale e non solo percepita. Ricordo che i militari, non essendo ufficiali di polizia giudiziaria, dovrebbero operare assieme a poliziotti e carabinieri: con l’attuale carenza d’organico, avere l’esercito a Campo Marzo non risolverebbe i problemi».

Diego Neri

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