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Smalti e brillanti
sotto la “pelle”
del lusso

Uno dei pezzi più pregiati in mostra al Museo del gioiello. COLORFOTO
Uno dei pezzi più pregiati in mostra al Museo del gioiello. COLORFOTO
VicenzaOro (Colorfoto)

Il gioiello è una questione di... pelle. Si intitola “Skin, la superficie del gioiello”, la mostra inaugurata ieri sera al Museo del Gioiello, che indaga – appunto - il rapporto tra la “pelle”, in tutti i suoi significati, e i preziosi, con una raccolta di pezzi, principalmente spille, realizzati da oltre settanta designer italiani ed internazionali.

A tenere a battesimo la nuova iniziativa sono stati Matteo Marzotto e Corrado Facco, presidente e direttore di Fiera di Vicenza, e le curatrici Alba Cappellieri e Livia Tenuta.

«Nel primo anno – afferma Marzotto – il Museo ha avuto oltre 30mila visite, un successo di questo gioiello che la Fiera ha offerto alla città. Questa che inauguriamo oggi è una delle tre mostre all’anno che organizziamo per rendere ancora più vivo uno spazio che già lo è per sua natura e che ogni volta propongono riflessioni sulla storia del gioiello e la sua attualità anche sociale, visto che abbiamo parlato di pace e di cibo».

A spiegare lo spirito della mostra, poi illustrata più nel dettaglio da Livia Tenuta, è stata Cappellieri. «Vogliamo raccontare il rapporto complesso tra la pelle e il gioiello. La pelle appartiene al corpo, può essere grinzosa, segnata dall’incedere del tempo, o parlare invece di sperimentazione e innovazione».

Le sfaccettature di questo rapporto sono raccontate nelle varie sezioni della mostra. «La prima – spiega Tenuta – indaga tecniche e tecnologie, la ricerca su tecniche e materiali, portandoli anche da mondi diversi da quello del gioiello, esplorando l’artigianato del saper fare con le mani, ma anche quello nuovo, come quello delle stampanti 3D». Tra i pezzi le “radici” in ottone satinato con bulino con bagno di oro giallo e rutenio, corniola, pietra leccese, legno d’ulivo e acciaio di Roberta Risolo, il “nido” in creta mescolata a particelle di platino e d’oro di Sanae Asayama e le “Madreforme” di Carla Riccoboni.

«La seconda – continua - parla invece di metamorfosi, di pelle che cambia, di pezzi dinamici con superfici immaginate piatte, senza spessore e immobili, che invece assumono tridimensionalità». Ed ecco il fiore di seta di Eliana Lorena, la lastra d’oro, smalto e brillanti di Giancarlo Montebello e la spilla in acrilico con intarsi di resina, oro giallo e tormalina di Roger Morris.

La terza vede invece la superficie come una tela che racconta il designer, a volte con pochi segni, come nell’ “Evoluzione” di James Rivière, altre in modo molto figurativo, come in “Coniglio, ciao Luca” di Patrizia Posada. E ancora: la superficie può raccontare una parte di sé alla vista e trasmettere molto altro al tatto, come in “Petrolio” di Luca Giovanninetti o in “Nascence” di Jinbi Park o addirittura una dicotomia tra esterno e interno o tra superficie e profondità, come in “Tra terra e cielo” di Silvia Valenti o in “Inglobati” di Luisa Bruni.

Maria Elena Bonacini

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