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Siccità record, l’agricoltura è in ginocchio

Per la prima volta dall’inizio del 2017 la falda è scesa sotto il livello di 50 metri: e ora l’agricoltura è in ginocchio
Per la prima volta dall’inizio del 2017 la falda è scesa sotto il livello di 50 metri: e ora l’agricoltura è in ginocchio
Per la prima volta dall’inizio del 2017 la falda è scesa sotto il livello di 50 metri: e ora l’agricoltura è in ginocchio
Per la prima volta dall’inizio del 2017 la falda è scesa sotto il livello di 50 metri: e ora l’agricoltura è in ginocchio

La preoccupazione si è trasformata in allarme. Il livello della falda acquifera scende ancora e accarezza la gravità registrata nel 2003, quando a luglio toccò i 49,79 metri sul livello del mare. Fino a ieri la falda registrava 49,92 metri. Oggi la previsione indicherebbe un ulteriore calo: 49,91, più di 2,5 metri sotto le medie del periodo (52,6). La storia ci ricorda che, sempre nel 2003, il record negativo fu toccato a ottobre, con un livello attestatosi a 48,4.

I dati che arrivano dal pozzo di Caldogno traducono, spiega l’analista Lorenzo Altissimo, «temperature alte, piogge scarse, un autunno mite e tutt’altro che piovoso, un inverno senza neve, scarsa educazione civica. In queste ore le prospettive non sono buone». In altre parole non siamo a Roma, dove il piano di razionamento dell’acqua inizierà venerdì, ma le contromisure potrebbero essere anche qui dietro l’angolo. Nei prossimi giorni, per dire, alla conferenza Stato-Regioni, il Veneto richiamerà l’attenzione sullo stato di calamità a causa della siccità chiesto al Governo tre settimane fa, richiesta che non ha ancora avuto risposta. A quanto pare, nell’occasione, la stessa domanda sarà presentata anche da una decina di altre regioni. Una delle motivazioni in comune, manco a dirlo, è la sofferenza del settore agricolo. D’altra parte che il rifornimento e l’approvvigionamento idrico siano in difficoltà è notorio. «Molti torrenti oggi sono in secca - osserva Altissimo - servirebbero almeno tre, quattro giorni consecutivi di pioggia sulle Prealpi, una caduta quantificabile in 50 millimetri al giorno. E questo solo per offrire una “tregua”».

L’idea diffusa è che alcuni nodi irrisolti «al netto delle conseguenze dei cambiamenti climatici» siano arrivati al pettine. Spiega Altissimo: «Partiamo dal presupposto che non possiamo aspettare la pioggia e che comunque non riusciamo più a trattenere l’acqua. Per questo servono i bacini di accumulo. E serve cultura idrica. Mi riferisco in particolare ai pozzi artesiani che sono lasciati colpevolmente aperti sprecando l’acqua. E questo nonostante l’articolo 40 della legge regionale 2012 sulla tutela delle acque vieti e sanzioni questi comportamenti. Anzi, gli stessi sono paragonati ad abusi edilizi. A quanto pare nessuno però controlla».

Va detto che nel Vicentino lo stato idrico non è omogeneo, ma l’agricoltura è in ginocchio: in alcune zone la perdita stimata si avvicina al 50 per cento della produzione, in altre non supera il 20 per cento.

Le percentuali giungono da Coldiretti e sono numeri che nessuno vorrebbe sentire. La convergenza tra agricoltori e gli esperti avviene «sulla necessità di un piano strutturale che preveda, tra le altre cose, invasi o micro invasi (leggi bacini di accumulo, ndr)», spiegano i primi. «Da tempo le aziende stanno dirottando i loro sforzi su coltivazioni con minori idroesigenze o puntando e investendo su sistemi di irrigazioni diversi da quello “a pioggia”. Evidentemente anche questo non è più sufficiente per risolvere il problema».

Federico Murzio

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