<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
La sentenza

Si può vietare
il velo sul lavoro
«Basta ipocrisia»

Donne con il velo islamico
Donne con il velo islamico
Donne con il velo islamico
Donne con il velo islamico

BRUXELLES (Belgio). Vietare alle donne di indossare il velo islamico sul posto di lavoro è discriminatorio nei confronti delle musulmane? No, se il datore di lavoro vuole dipendenti vestiti in modo «neutro», cioè che non esibiscano alcun segno politico, filosofico o religioso in modo evidente. Con questa sentenza la Corte di Giustizia dell'Ue mette fine a un dibattito che in passato ha diviso la Corte stessa, ma che difficilmente si acquieterà.

 

Commenta con soddisfazione Confindustria Vicenza. «In Europa il rispetto per la persona e per la donna non è più in discussione da decenni», sottolinea il presidente Luciano Vescovi. Che aggiunge: «Sono certo che non ci sia mai una volontà discriminatoria o un pregiudizio verso gli islamici, tantomeno verso le donne. Esistono semplicemente delle regole, uguali per tutti. Una volta tanto la Ue lo conferma, senza trincerarsi dietro parole o definizioni ipocrite».

 

Il pronunciamento della Corte arriva dopo la valutazione di due cause: entrambe donne, musulmane, licenziate dalle rispettive aziende per essersi rifiutate di rinunciare al velo sul luogo di lavoro. Una centralinista, l'altra consulente informatico.

La prima in Belgio e l'altra in Francia, due Paesi dove la presenza musulmana è tra le più significative d'Europa. La centralinista, Samira Achbita, si è opposta al divieto di velo nonostante fosse previsto dal regolamento interno della sua azienda. La Corte Ue, valutato il caso alla luce della «direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro», ha stabilito che «la norma interna non implica una disparità di trattamento direttamente fondata sulla religione o sulle convinzioni personali».

Potrebbe, certo, rappresentare una discriminazione «indiretta», qualora venga dimostrato che l'obbligo di abbigliamento neutrale comporta un particolare svantaggio per le persone che aderiscono a una determinata religione o ideologia. Ma anche in questo caso, la «discriminazione indiretta può essere giustificata da una finalità legittima, come il perseguimento, da parte del datore di lavoro, di una politica di neutralità nei rapporti con i clienti».

Nel secondo caso, invece, alla consulente informatica francese, Asma Bougnaoui, era stato chiesto di togliere il velo in seguito alle lamentele di un cliente. Sebbene la Corte sottolinei come non sia obbligatorio per un datore di lavoro assecondare le richieste di un cliente, rimanda però alle motivazioni dell'altro caso. 

 

La sentenza fa discutere. «Deludente» secondo Amnesty, perché offre ai datori di lavoro «più margini di manovra per discriminare donne e uomini sulla base delle loro credenze religiose». Molto critico anche il rabbino capo Pinchas Goldschmidt, presidente della Conferenza dei rabbini europei. Anche la rete europea di organizzazioni non governative contro il razzismo (Enar) protesta: «Questo giudizio forza le donne musulmane che portano il velo, i sikh che portano il turbante e gli ebrei in kippah a scegliere tra la loro espressione religiosa e il loro diritto di entrare nel mercato del lavoro». 

Chiara De Felice

Suggerimenti