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Scandalo in ospedale

«Nessun complotto
I colpevoli
ora vadano via»

Il contenuto delle conversazioni sarà acquisito ora dai Nas
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«Quale raggiro? Quale manipolazione? Una macchinazione? E per colpire chi? Un complotto? Assurdo. Il primario Riboni ha fatto ciò che il responsabile di una struttura e una persona di buon senso avrebbe fatto quando gli hanno portato la prova di questa chat. Il primario, che non è il padrone del pronto soccorso ma deve vigilare e organizzare al meglio perché funzioni, ha segnalato il fatto alla direzione. Più lineare di così». Il dottor Francesco Corà, 49 anni, vicentino, è una delle colonne del pronto soccorso come competenza, dedizione, impegno. Lavora nel reparto di prima linea del San Bortolo da 7 anni. «La chat non l’ha trovata il primario. Gli è stata consegnata da uno o più infermieri che si sono dissociati dal gruppo perché hanno ravvisato in ciò che facevano qualcosa di irregolare. La denuncia non è partita da lui. Riboni ha fatto solo il suo dovere. Io sono dalla sua parte non perché è il mio primario ma perché ne apprezzo l’onestà intellettuale. È un uomo trasparente, anzi di più». Corà prende le distanze dagli autori della gara vera o presunta: «A me, a quasi tutti i miei colleghi del pronto soccorso, una cosa del genere non sarebbe mai passata per l’anticamera del cervello. I problemi sono altri. Occorre darsi da fare. Altro che fare i goliardi». Per lui i capisaldi etici della professione sono intangibili. «Non so neppure come si possa concepire una sfida come questa. Dobbiamo assistere pazienti spesso molto gravi. Non c’è un attimo di tregua. È un lavoro difficile, che esige esperienza. Si può essere più o meno bravi ma certi principi non devono venire meno. Da noi c’è molta gente seria, ma si vede pure qualcuno frustrato, insoddisfatto, che lavora malvolentieri e si inventa queste cose. Se si è motivati e c’è sensibilità non ci si perde così». Ora l’atmosfera in pronto soccorso resta sospesa. «In me e negli altri come me – spiega Corà –, c’è amarezza. Mi sento tradito, infangato da persone con cui lavoro. La scelleratezza di pochi rischiava di far cadere tutti nel calderone della malasanità. Sono contento che questa vicenda sia emersa perché offre la possibilità di rifondare l’ambiente, di togliere le mele marce; serve a migliorare, a far capire che certe cose non vanno fatte, funge da monito e fa riflettere sul valore delle cose che facciamo. Queste persone devono andarsene. Si è spezzato il rapporto di fiducia ed è impossibile ricostruirlo». 

F.P.

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