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L’inchiesta sulla BpVi

Le azioni vendute
a 58 mila clienti
ignari dei rischi

La sede centrale della Popolare, in via Battaglione Framarin
La sede centrale della Popolare, in via Battaglione Framarin
La sede centrale della Popolare, in via Battaglione Framarin
La sede centrale della Popolare, in via Battaglione Framarin

Tutti, o quasi, i nuovi azionisti della Banca popolare di Vicenza, che fra il 2013 e il 2014 hanno risposto all’appello partito da via Battaglione Framarin ed hanno sottoscritto gli aumenti di capitale sono vittime. Di cosa? Gli inquirenti stanno cercando di individuare il reato penale, se esiste. Ma i 58 mila azionisti (il numero potrebbe essere inferiore, sono in corso accertamenti) non sono stati tutelati secondo le norme che regolano il corretto rapporto fra banca e cliente. I vertici della BpVi, infatti, avrebbero violato la direttiva europea del Mifid, che impone agli istituti di credito di accompagnare, spiegare e tutelare i clienti quando acquistano titoli, in particolare illustrando loro i rischi. Alla Popolare di Vicenza non sarebbe (quasi) mai successo, tanto che sono state vendute azioni a 62,50 euro l’una, poi crollate a 10 centesimi, con i vicentini rimasti con un palmo di naso. È quello che è accaduto a tantissimi risparmiatori vicentini, convinti della bontà della proposta. Che però non era stata presentata loro correttamente.

LA RELAZIONE BCE. È quanto ha sottolineato, nella sua relazione di 103 pagine, la Banca centrale europea, che a Vicenza, con l’ispettore Emanuele Gatti della Banca d’Italia, eseguì una verifica sull’attività dell’istituto nel biennio precedente. Gli esiti dell’ispezione, durata dal febbraio al luglio 2015, sono stati consegnati in procura e alla guardia di finanza. E costituiscono uno dei punti fermi dell’inchiesta contro gli ex vertici di BpVi, indagati per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza.

MIFID. Ma cos’è accaduto alla Popolare? La Bce lo ha ricostruito nel dettaglio. Quando a un cliente di banca viene proposto un investimento, come un aumento di capitale, va compilato il Mifid, un documento per certificare il profilo dell’investitore, e individuare il prodotto più adatto a lui. I Mifid dei 58 mila azionisti della Popolare sarebbero, secondo gli inquirenti, in gran parte fasulli; o non sarebbero stati rispettati. In che senso? L’ipotesi (l’indagine è seguita dal pool composto dal procuratore Cappelleri e dai pm Salvadori e Pipeschi), suffragata dai rilievi Bce, è che i funzionari della BpVi, probabilmente seguendo disposizioni della scala gerarchica, abbiano venduto azioni (di per se stesse rischiose) anche a chi non voleva rischiare, chiedendo un profilo prudenziale. O che abbiano compilato falsamente i profili, per far emergere volontà di rischio che non c’erano.

LA CADENZA TEMPORALE. Bce ha sottolineato che nel 2013 BpVi riusciva a evadere in un mese le richieste dei clienti di rivenderle le azioni (nel gennaio di 3 anni fa valevano 52 milioni), a dicembre ammontavano a un miliardo e i tempi erano molto più lunghi. Ma la banca non ha detto ai clienti che c’era per lei il rischio di non riuscire a ricomprarle, quanto meno fino al marzo 2015. E l’ispezione ha appurato che non è stato rispettato l’ordine di priorità; è avvenuto per 200 posizioni, senza dire delle lettere di “riacquisto” (firmate ad alcuni) che fanno parte integrante dell’inchiesta.

IL CSM. Intanto, il Csm ha aperto un fascicolo sui magistrati che in passato archiviarono le indagini su BpVi e Gianni Zonin. «Chiederò che questa pratica sia trattata con priorità», ha detto il consigliere Pierantonio Zanettin che si è assunto l’impegno di sollecitare una corsia privilegiata per il fascicolo della Prima commissione del Csm dopo l’esposto dell’Adusbef. «La questione è molto delicata, a Vicenza c’è un problema sociale evidente; non possiamo lasciare coni d’ombra rispetto alla magistratura».

Diego Neri

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