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Il caso

Juan, il fotografo
vicentino sparito
nei lager cileni

I militari all’interno dello stadio Nacional di Santiago, in Cile, controllano i giovani deportati
I militari all’interno dello stadio Nacional di Santiago, in Cile, controllano i giovani deportati
I militari all’interno dello stadio Nacional di Santiago, in Cile, controllano i giovani deportati
I militari all’interno dello stadio Nacional di Santiago, in Cile, controllano i giovani deportati

Quarant’anni fa, oggi. Juan Bosco Maino Canales, il 26 maggio 1976 aveva 27 anni. Sparì nel nulla dopo essere stato rapito, assieme ad altri tre amici, da uno degli squadroni comandati dal generale Manuel Contreras, fedelissimo del dittatore Augusto Pinochet, in un appartamento di Santiago e deportato in uno dei lager dei militari. Il Cile, da tre anni, dopo il golpe dell’11 settembre 1973, era infatti sprofondato nel buio della repressione totalitaria. Juan Bosco, italo-cileno, cattolico, militante del Mapu (il Movimento di azione popolare unitaria, partito della sinistra che sosteneva il governo Allende deposto dai militari) era un figlio della terra vicentina. Il papà, nato a Caltrano, dopo essere emigrato in Sud America aveva trovato fortuna proprio in Cile divenendo un imprenditore nel settore caseario.

La vicenda di Juan Bosco, raffinato fotografo delle emozioni fermate negli scatti ai panorami andini e ai volti incontrati nelle favelas, oggi torna prepotentemente di attualità. A luglio infatti si attende le sentenza della Corte d’Assise di Roma nel “Processo Condor” che coinvolge i generali Manuel Contraras (nel frattempo morto) e Pedro Octavio Espinoza Bravo, numero due della Dina, la polizia segreta cilena; per il rapimento, la tortura e l’omicidio di Juan Bosco e di un’altra quarantina di desaparecidos di origine italiana . A rappresentare i familiari del giovane fotografo di origine vicentina (tre sorelle e un fratello) l’avvocato Andrea Speranzoni. Ma la figura di Maino Canales è protagonista anche di una pellicola (un film tedesco nelle sale proprio da oggi) che racconta cosa accadde in uno dei lager più spietati del regime cileno, “Colonia Dignidad”, in cui si sospetta fosse stato trasferito e quindi ucciso Juan Bosco dopo essere stato torturato in un altro carcere cileno, Villa Grimaldi, oggi monumento simbolo di una tragedia che negli anni ’70 ha inghiottito 30 mila desaparecidos, rubato 500 bambini ai loro giovani genitori anti-regime e creato un milione e mezzo di esuli cileni sparsi per il mondo con le vite segnate da cicatrici perenni. «Nel corso del processo sono stati ascoltati otto testimoni che hanno raccontato chi era Juan Bosco - dice l’avvocato Speranzoni -. Un genio della fotografia a cui l’ambasciata del Cile a Roma dedicherà una mostra».

Matteo Bernardini

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