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Vicenza

Italiani e vaccini
Tanti gli scettici
«Salute fai-da-te»

Gli italiani sono sostanzialmente scettici verso le vaccinazioni. Solo il 23 per cento ritiene che dovrebbero essere tutte obbligatorie. Secondo il 57,3 per cento, invece, va lasciata al singolo la libertà di scelta, e i vaccini obbligatori dovrebbero essere molto limiti. Anzi, non dovrebbero proprio esserci secondo il 18,6 per cento.

Sono i risultati di un’indagine condotta dal centro vicentino di ricerca Observa - Science in Società, che si occupa appunto dei rapporti tra scienza e società, anche per quanto riguarda questioni biomediche. Come le vaccinazioni.

La presa di posizione della Fnomceo, la federazione degli Ordini dei medici, che prevede sanzioni - fino alla radiazione - per i medici che sconsigliano di ricorrere al vaccino, ha riaperto il dibattito. I dati, a livello italiano come veneto e vicentino, dimostrano che la copertura vaccinale in età pediatrica si sta riducendo. E cresce nel contempo lo scetticismo, come segnala l’indagine di Observa.

Questo dipende dalla scarsa informazione?

Non proprio - risponde Massimiano Bucchi di Observa, docente di sociologia della scienza all’Università di Trento -. In realtà la ricerca dimostra che i favorevoli alle vaccinazioni sono meno diffusi tra i laureati e i cittadini con un alto alfabetismo scientifico, e più numerosi invece tra chi ha un titolo di studio più basso e più basso alfabetismo scientifico.

Se il calo delle vaccinazioni e lo scetticismo non dipendono dalla disinformazione, come si spiegano?

Vanno ricondotti nell’ambito di un processo più ampio, nel lungo periodo, che si può definire come individualismo salutista. In pratica, l’individuo punta a concentrare in se stesso tutte le decisioni che hanno a che fare con la gestione e la cura del proprio corpo, e di quello dei figli nel caso dei genitori. È l’altra faccia di un atteggiamento che si riscontra, ad esempio, nei confronti della fecondazione assistita e del testamento biologico. Il corpo è mio e decido io, anche per quanto riguarda le vaccinazioni.

Un tempo invece ci si fidava di quanto diceva il medico. Perché questo è cambiato?

È cambiato profondamente il contesto comunicativo tra medico e paziente. Quest’ultimo, fino a non molti anni fa, non poteva far altri che affidarsi al medico, il quale spesso manteneva nei suoi confronti un atteggiamento paternalistico. Tutto ciò non esiste più, o in misura molto minore. Nel caso italiano poi c’è un aspetto ulteriore.

Quale?

La generale e diffusa diffidenza verso le istituzioni. Quando un’istituzione ci vuole imporre di fare qualcosa, scatta la reazione opposta. Ed ecco la propensione alla libertà di scelta anche nelle vaccinazioni.

Il cambiamento del contesto comunicativo fra medico e paziente dipende anche da internet?

In buona parte sì. La tecnologia digitale e internet danno una grandissima possibilità di informazione, ed è un bene, ma spesso non si hanno gli strumenti culturali per affrontarla. Si riscontra una certa superficialità, in senso tecnico, nell’accesso a questi strumenti. Nel mondo digitale è impossibile per il singolo attestare la qualità dell’informazione. Se un ricercatore pubblica i suoi dati su un blog, come si fa a sapere se sono attendibili?.

Serve maggiore controllo?

La risposta non è censurare l’informazione, ma dare strumenti di crescita. Gli stessi operatori della sanità vanno preparati anche dal punto di vista comunicativo, tenendo conto che chattare su un social network è cosa ben diversa dal fare quattro chiacchiere al bar.

L’ha dimostrato il caso della “gara degli aghi” al San Bortolo.

Chi lavora in un settore come la sanità deve essere consapevole che c’è sempre il rischio dell’esposizione al pubblico. Con tutte le conseguenze. E vale anche per il medico di base, che ora ha davanti un paziente diverso, che si informa da molte fonti. Va quindi instaurato un dialogo.

Gianmaria Pitton

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